Author : E. Redazione

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2017 N 44

Echi Di Vita N°44 – UN CUORE CHE AMA IL SIGNORE …

Qual è, nella Legge, il grande comandamento? Lo sapevano tutti qual era: secondo i rabbini d’Israele era il terzo, quello che prescrive di santificare il Sabato, perché anche Dio lo aveva osservato («e il settimo giorno si riposò», Genesi 2,2). La risposta di Gesù, come al solito, spiazza e va oltre: non cita nessuna delle dieci parole, colloca invece al cuore del suo Vangelo la stessa cosa che sta nel cuore della vita: tu amerai, che è desiderio, attesa, profezia di felicità per ognuno.

Amerai, dice Gesù, usando un verbo al futuro, come una azione mai conclusa. Amare non è un dovere, ma una necessità per vivere. Cosa devo fare, domani, per essere ancora vivo?
Tu amerai.
Amerai Dio con tutto il cuore. Non significa ama Dio esclusivamente e nessun altro, ma amalo senza mezze misure. E vedrai che resta del cuore, anzi cresce e si dilata, per amare il marito, il figlio, la moglie, l’amico, il povero. Dio non è geloso, non ruba il cuore, lo dilata.

Ama con tutta la mente. L’amore è intelligente: se ami, capisci di più e prima, vai più a fondo e più lontano. Gli avevano domandato il comandamento grande e lui invece ne elenca due. La vera novità non consiste nell’avere aggiunto l’amore del prossimo, era un precetto ben noto della legge antica, ma nel fatto che le due parole insieme, Dio e prossimo, fanno una sola parola, un unico comandamento. Dice infatti: il secondo è simile al primo. Amerai l’uomo è simile ad amerai Di.

Il prossimo è simile a Dio, il fratello ha volto e voce e cuore simili a Dio. Il suo grido è da ascoltare come fosse parola di Dio, il suo volto come una pagina del libro sacro. Amerai il tuo prossimo come ami te stesso. Ed è quasi un terzo comandamento sempre dimenticato: ama te stesso, amati come un prodigio della mano di Dio, scintilla divina.

Se non ami te stesso, non sarai capace di amare nessuno, saprai solo prendere e accumulare, fuggire o violare, senza gioia, né intelligenza, né stupore. Permettiamo a Dio di dilatare tutti il nostro cuore!

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2017 N 43

Echi Di Vita N°43 – A CESARE CIÒ CHE È DI CESARE. E NOI SIAMO DEL SIGNORE!

La trappola è ben congegnata: È lecito o no pagare il tributo a Roma? Stai con gli invasori o con la tua gente? Con qualsiasi risposta Gesù avrebbe rischiato la vita, o per la spada dei Romani, come istigatore alla rivolta, o per il pugnale degli Zeloti, come sostenitore degli occupanti. Ma Gesù non cade nella trappola, anzi: ipocriti, li chiama, cioè commedianti, la vostra esistenza è una recita. Mostratemi la moneta del tributo.
Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare. È lecito pagare? avevano chiesto. Gesù risponde impiegando un altro verbo, restituire, come per uno scambio: prima avete avuto, ora restituite. Lungo è l’elenco: ho ricevuto istruzione, sanità, giustizia, coesione sociale, servizi per i più fragili, cultura, assistenza… ora restituisco qualcosa. Rendete a Cesare, vale a dire pagate tutti le imposte per servizi che raggiungono tutti. Come non applicare questa chiarezza immediata di Gesù ai nostri giorni di faticose riflessioni su manovre finanziarie, tasse, fisco; ai farisei di oggi, per i quali evadere le imposte, cioè non restituire, trattenere, è normale?
E aggiunge: Restituite a Dio quello che è di Dio. Di Dio è la terra e quanto contiene; l’uomo è cosa di Dio.
Ogni uomo e ogni donna vengono al mondo come vite che risplendono, come talenti d’oro su cui è coniata l’immagine di Dio e l’iscrizione: tu appartieni alle sue cure, sei iscritto al suo Amore. Restituisci a Dio ciò che è di Dio, cioè te stesso.
A Cesare le cose, a Dio le persone. A Cesare oro e argento, a Dio l’uomo.
A me e ad ogni persona, Gesù ripete: tu non appartieni a nessun potere, resta libero da tutti, ribelle ad ogni tentazione di lasciarti asservire.
Ad ogni potere umano il Vangelo dice: non appropriarti dell’uomo. Non violarlo, non umiliarlo: è cosa di Dio, ogni creatura è prodigio grande che ha il Creatore nel sangue e nel respiro.

Don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2017 N 42

Echi Di Vita N°42 – AL BANCHETTO DEL RE NON PERSONE PERFETTE MA IN CAMMINO!

In città, una grande festa: si sposa il figlio del re, l’erede al trono, eppure nessuno sembra interessato; nessuna almeno delle persone importanti, quelli che possiedono terreni, buoi e botteghe. È la fotografia del fallimento del re. Che però non si arrende al primo rifiuto, e rilancia l’invito. Come mai di nuovo nessuno risponde e la festa promessa finisce nel sangue e nel fuoco? È la storia di Gesù, di Israele, di Gerusalemme.

Allora disse ai suoi servi: andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Per la terza volta i servi ricevono il compito di uscire, a cercare per i crocicchi, dietro le siepi, nelle periferie, uomini e donne di nessuna importanza, basta che abbiano fame di vita e di festa. Se i cuori e le case si chiudono, il Signore, che non è mai a corto di sorprese, apre incontri altrove. L’ordine del re: tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze. Tutti, senza badare a meriti, razza, moralità.

L’invito esprime la precisa volontà di raggiungere tutti, nessuno escluso.

Dai molti invitati passa a tutti invitati, dalle persone importanti passa agli ultimi della fila: fateli entrare tutti, cattivi e buoni. Addirittura prima i cattivi e poi i buoni, senza mezze misure, senza bilancino, senza quote da distribuire.

Il Vangelo mostra che Lui non cerca uomini perfetti, non esige creature immacolate, ma vuole uomini e donne incamminati, anche col fiatone, anche claudicanti, ma in cammino.

Il re entrò nella sala. Noi pensiamo Dio lontano, separato, e invece è dentro la sala della vita, in questa sala del mondo, è qui con noi, uno cui sta a cuore la gioia degli uomini, e se ne prende cura; è qui, nei giorni delle danze e in quelli delle lacrime, insediato al centro dell’esistenza, nel cuore della vita, non ai margini di essa. E si accorge che un invitato non indossa l’abito delle nozze. Tutti si sono cambiati d’abito, lui no; tutti anche i più poveri, non so come, l’hanno trovato, lui no; lui è come se fosse rimasto ancora fuori dalla sala. È entrato, ma non credeva a una festa. Non ha capito che si fa festa in cielo per ogni peccatore pentito, per ogni figlio che torna, per ogni mendicante d’amore. Non crede che Dio mostri il suo volto di padre e che amava banchetti aperti per tutti! E noi?

Don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2017 N 41

Echi Di Vita N°41 – NELLA VIGNA DEL SIGNORE SI RACCOGLIE GIUSTIZIA E PACE

Quale raccolto si attende il Signore da noi? Isaia: Aspettavo giustizia, attendevo rettitudine, non più grida di oppressi, non più sangue! Il frutto che Dio attende è una storia che non generi più oppressi, sangue e ingiustizia, fughe disperate e naufragi. Nelle vigne è il tempo del raccolto. Per noi lo è ogni giorno: vengono persone, cercano pane, Vangelo, giustizia, coraggio, un raggio di luce.

Che cosa trovano in noi? Vino buono o uva acerba?
La parabola cammina però verso un orizzonte di amarezza e di violenza. In contrasto con la bassezza dei vignaioli emerge la grandezza del mio Dio contadino, un Signore che non si arrende, non è mai a corto di meraviglie, non ci molla e ricomincia dopo ogni rifiuto ad assediare il cuore con nuovi Profeti e servitori, e infine con il Figlio.

Costui è l’erede, uccidiamolo e avremo noi l’eredità! La parabola è trasparente: la vigna è Israele, i vignaioli avidi sono le autorità religiose, che uccideranno Gesù come bestemmiatore.

Il movente è lo stesso: l’interesse, potere e denaro, tenersi il raccolto e l’eredità! È la voce oscura che grida in ciascuno: sii il più forte, il più furbo, non badare all’onestà, e sarai tu il capo, il ricco, il primo. Questa ubriacatura per il potere e il denaro è l’origine di tutte le vendemmie di sangue della terra.

Cosa farà il padrone? La risposta delle autorità è secondo logica giudiziaria: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia si fonda sull’eliminare chi sbaglia. Gesù non è d’accordo. Lui non parla di far morire, mai; il suo scopo è far fruttificare la vigna: sarà data a un popolo che produca frutti.

La storia perenne di amore e tradimenti tra Dio e l’uomo non si concluderà né con un fallimento né con una vendetta, ma con l’offerta di una nuova possibilità: darà la vigna ad altri. Tra Dio e l’uomo le sconfitte servono solo a far meglio risaltare l’amore di Dio. Il sogno di Dio non è né il tributo finalmente pagato né la condanna a una pena esemplare per chi ha sbagliato, ma una vigna, un mondo che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, che non sia una guerra perenne per il potere e il denaro, ma che maturi una vendemmia di giustizia e di pace, la rivoluzione della tenerezza, la triplice cura di sé, degli altri e del creato.

Don Alfredo Di Stefano

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Echi 38 2017

Echi Di Vita N°40 – DISCEPOLI NEI FATTI, NON A PAROLE!

«Un uomo aveva due figli», e si potrebbe tradurre così: un uomo aveva due cuori. Siamo tutti così, contradditori e incerti, con due cuori: uno che dice sì e uno che lo contraddice.

Abbiamo tutti due anime: quella dell’apparire e del fingere per gli altri, e quella dell’essere veri anche se nessuno vede e sa.

Gesù conosce bene come siamo fatti: non esiste un terzo figlio ideale, in cui senza contraddizioni avvenga l’incontro perfetto del dire e del fare.

Primo attore della breve parabola è il padre, che va’ verso i suoi figli, si fa vicino, li cerca, chiede loro di lavorare in una vigna. C’è poi un figlio vivo e reattivo, impulsivo, che prima di aderire a suo padre prova il bisogno imperioso, vitale, di fronteggiarlo, di misurarsi con lui, di contraddirlo, che non ha nulla di servile, libero da sudditanze e da paure. L’altro figlio, che dice e non fa’, è invece un adolescente immaturo, che si accontenta di apparire, cui importa non la verità e la coerenza ma il giudizio degli altri. Qualcosa poi accade e viene a disarmare il rifiuto del figlio che ha detto no.

Tutto in una parola: ‘ si pentì’, cioè ‘cambiò il modo di vedere’ il padre e il lavoro.

La differenza decisiva tra i due ragazzi: uno diventa figlio e coinvolto, l’altro rimane un servo esecutore di ordini. Chi dei due ha fatto la volontà del padre? È il passaggio centrale: volontà di Dio non è mettere alla prova l’obbedienza o la coerenza dei figli, è invece una vigna dai grappoli. Il suo progetto si realizza nei frutti buoni che ognuno può portare per la vita del mondo.

Ciò che Dio sogna non è l’obbedienza o la fatica, ma far maturare la vigna della storia. Se agisci così fai vivere te stesso, fai viva la tua vita! E il vangelo si diffonderà a partire da tutte le piccole vigne nascoste, dove ciascuno si impegna a rendere meno arida la terra, meno soli gli uomini, meno contraddittorio il cuore.

Don Alfredo Di Stefano

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Echi 38 2017

Echi Di Vita N°39 – AMARE IN «PERDITA», ECCO L’ECONOMIA DEL SIGNORE!

Il Vangelo è pieno di vigne e di vi . La vigna è, tra tutti, il campo più amato, in cui il contadino investe più lavoro e più passione, gioia e fa ca, sudore e poesia.

Vigna di Dio e suoi operai siamo noi.

Un padrone esce all’alba in cerca di lavoratori, e lo farà per ben cinque volte, fino quasi al tramonto, pressato da un mo vo che non è il lavoro, tantomeno la sua incapacità di calcolare le braccia necessarie. C’è dell’altro: Perché ve ne state qui tutto il giorno senza fare niente?

Il padrone si interessa e si prende cura di quegli uomini, più ancora che della sua vigna. Qui seduti, senza far niente: il lavoro è la dignità dell’uomo.
Un Signore che si leva contro la cultura dello scarto!

E poi, il cuore della parabola: il momento della paga.
Primo gesto contromano: cominciare dagli ul mi, che hanno lavorato un’ora soltanto.
Secondo gesto contro logica: pagare un’ora soltanto di lavoro quanto una giornata di dodici ore.
Il nostro Dio è differente, non è un padrone che fa di conto e dà a ciascuno il suo, ma un signore che dà a ciascuno il meglio, che estende a tutti il miglior dei contratti. Un Dio la cui prima legge è che l’uomo viva. Non è ingiusto verso i primi, è generoso verso gli ultimi.

Dio non paga, dona. È il Dio della bontà senza perché, che trasgredisce tu&e le regole dell’economia, che sa ancora saziarci di sorprese, che ama in perdita. Anzi la nostra più bella speranza è un Dio che non sa far di conto: per lui i due spiccioli della vedova valgono più delle ricche offerte dei ricchi; per quelli come lui c’è più gioia nel dare che nel ricevere: il bisogno prima dei miei meri .

Quale vantaggio c’è, allora, a essere operai della prima ora? Solo un supplemento di fatica?

Il vantaggio è quello di aver dato di più alla vita, di aver fatto fruttificare di più la terra, di aver reso più bella la vigna del mondo.

Ti dispiace che io sia buono? Da Dio noi cosa abbiamo bisogno? Di una paga, di grandi vigne da coltivare, grandi campi da seminare, o la promessa che una goccia di luce è anche nel cuore vivo del mio ultimo minuto?

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Echi 38 2017

Echi Di Vita N°38 – QUANTE VOLTE DOVREMO PERDONARE AI NOSTRI FRATELLI?

«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette», cioè sempre. L’unica misura del perdono è perdonare senza misura. Perché vivere il vangelo di Gesù non è spostare un po’ più avanti i paletti della morale, del bene e del male, ma è la lieta notizia che l’amore di Dio non ha misura. Perché devo perdonare? Perché devo rimettere il debito? Perché cancellare l’offesa di mio fratello? La risposta è molto semplice: perché così fa Dio; perché il Regno è acquisire per me il cuore di Dio e poi immetterlo nelle mie relazioni.

Gesù lo dice con la parabola dei due debitori. Il re non è il campione del diritto, ma il modello della compassione: sente come suo il dolore del servo, lo fa contare più dei suoi diritti. Il dolore pesa più dell’oro.

Il servo perdonato, «appena uscito», trovò un servo come lui che gli doveva qualche denaro. «Appena uscito»: non una settimana dopo, non il giorno dopo, non un’ora dopo. «Appena uscito», ancora immerso in una gioia insperata, appena liberato, appena restituito al futuro e alla famiglia. Appena dopo aver fatto l’esperienza di come sia grande un cuore di re, «presolo per il collo, lo strangolava gridando: ‘Ridammi i miei centesimi’», lui perdonato di miliardi!

In fondo, era suo diritto, è giusto e spietato. L’insegnamento della parabola è chiaro: rivendicare i miei diritti non basta per essere secondo il vangelo. La giustizia non basta per fare l’uomo nuovo.

«Non dovevi forse anche tu aver pietà di lui, così come io ho avuto pietà di te?» Non dovevi essere anche tu come me? Questo è il motivo del perdonare: fare ciò che Dio fa. Acquisire il cuore di Dio, per immettere la divina eccedenza dentro i rapporti ordinati del dare e dell’avere.

Perdonare significa – secondo l’etimologia del verbo greco aphíemi – lasciare andare, lasciare libero, troncare i tentacoli e le corde che ci annodano malignamente in una reciprocità di debiti. Assolvere significa sciogliere e dare libertà. La nostra logica ci imprigiona in un labirinto di legami. Occorre qualcosa di illogico: il perdono, fino a settanta volte sette, fino a una misura che si prende gioco dei nostri numeri e della nostra logica, fino ad agire come agisce Dio.

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