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Echi Di Vita N°62 – Il passaggio del Signore lascia sempre un senso di pienezza…

Il passaggio del Signore lascia sempre un senso di pienezza e uno sconfinare nella gioia e nella condivisione.

Zaccheo ha un handicap (la bassa statura) e un desiderio (vedere Gesù) e, a questo conflitto tra due forze che potrebbero annullarsi, risponde con creatività e coraggio, diventando figura di tutti coloro che, anziché chiudersi nei loro limiti e arrendersi, cercano soluzioni, inventano alternative senza timore di apparire diversi.

Allora corse avanti e salì su di un albero. Corre verso un Dio che viene non dal passato, ma dall’avvenire. Sull’albero, in alto, come per leggere se stesso e tutto ciò che accade da un punto di vista più alto. Perché il quotidiano è abitato da un oltre. Gesù passando alzò lo sguardo. Lo sguardo di Gesù è il solo che non si posa mai per prima cosa sui peccati di una persona, ma sempre sulla sua povertà, su ciò che ancora manca ad una vita piena.

La sua parola è la sola che non porta ingiunzioni, ma interpella la parte migliore di ciascuno, che nessun peccato arriverà mai a cancellare. Zaccheo cerca di vedere Gesù e scopre che Gesù cerca di vedere lui.

«Devo» dice Gesù, devo fare casa con te: a Dio manca qualcosa, manca Zaccheo, manca l’ultima pecora, manco io. Se Gesù avesse detto:
«Zaccheo, ti conosco bene, se restituisci ciò che hai rubato verrò a casa tua», Zaccheo sarebbe rimasto sull’albero.

Se gli avesse detto: «Zaccheo scendi e andiamo insieme in sinagoga», non sarebbe successo nulla.

Aprire la casa del cuore a Dio e la gioia e la vita si rimettono in moto. Infatti la casa di Zaccheo si riempie di amici, lui si libera dalle cose: «Metà di tutto è per i poveri e se ho rubato…». Ora può abbracciare tutta intera la sua vita, difetti e generosità, e coprire il male di bene…

Oggi mi fermo a casa tua. Dio viene ancora alla mia tavola, ogni Domenica, come una persona cara, un Dio alla portata di tutti. Se lo accogli, il Signore ti lascerà sempre un senso di pienezza.

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Echi Di Vita N°61 – Non si può pregare e disprezzare

Gesù, rivolgendosi a chi si sente a posto e disprezza gli altri, mostra che non si può pregare e disprezzare, adorare Dio e umiliare i suoi figli, come fa il fariseo.
Eppure il fariseo inizia la preghiera con le parole giuste: O Dio, ti ringrazio. Ma tutto ciò che segue è sbagliato: ti ringrazio di non essere come gli altri, ladri, ingiusti, adulteri. La sua preghiera è un confronto e un giudizio sugli altri, tutti disonesti e immorali. L’unico che si salva è lui stesso. Io digiuno, io pago le decime, io non sono… Il fariseo è un narciso allo specchio, per il quale Dio non serve a niente se non a registrare le sue presunte qualità.

Il pubblicano invece dal fondo del tempio non osava neppure alzare gli occhi, si batteva il petto e diceva: Abbi pietà di me peccatore. Due parole cambiano tutto nella sua preghiera, rendendola autentica.

La prima parola è: Tu abbi pietà. Mentre il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che lui fa’, il pubblicano la fonda su quello che Dio fa.

L’insegnamento della parabola è chiaro: la relazione con Dio non segue logiche diverse dalle relazioni umane. Le regole sono semplici e valgono per tutti. Se
metti al centro l’io, nessuna relazione funziona. Non nella coppia, non con gli amici, non con Dio. Vita e preghiera percorrono la stessa strada: la ricerca mai
arresa di un tu, uomo o Dio, in cui riconoscersi, amati e amabili, capaci di incontro vero, quello che fa fiorire il nostro essere.

La seconda parola è: peccatore. In essa è riassunto un intero discorso: “sono un poco di buono, è vero, ma così non sto bene, non sono contento; vorrei tanto essere diverso, ci provo, ma ancora non ce la faccio; e allora tu perdona e aiuta”.

Il pubblicano tornò a casa sua giustificato, non perché più umile del fariseo, ma perché si apre ad un Altro più grande del suo peccato, che viene e trasforma. Si apre alla misericordia, a questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua sola onnipotenza.

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Echi Di Vita N°60 – PREGARE E’UNA NECESSITA’, E’IL RESPIRO DELLA VITA

Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai. Il pericolo che minaccia la preghiera è quello della stanchezza: spesso pregare stanca, anche Dio può stancare. È la stanchezza di scommettere sempre sull’invisibile, del grido che non ha risposta, quella che avrebbe potuto fiaccare la vedova della parabola, alla quale lei non cede.
Gesù ha una predilezione particolare per le donne sole.
C’era un giudice corrotto in una città, una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario!
Con l’immagine della vedova mai arresa Gesù vuole sostenere la nostra fiducia: Se un giudice, che è in tutto all’opposto di Dio, alla fine ascolta, Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano a lui, prontamente?
Li farà a lungo aspettare? Ci perdoni il Signore, ma a volte la sensazione è proprio questa, che Dio non risponda così prontamente e che ci faccia a lungo aspettare.
Ma quel prontamente di Gesù non si riferisce a una questione temporale, non vuol dire «subito», ma «sicuramente». Il primo miracolo della preghiera è rinsaldare la fede, farla poggiare sulla prima certezza che la parabola trasmette: Dio è presente nella nostra storia, non siamo abbandonati. Dio interviene, ma non come io vorrei, come lui vorrà.
La preghiera è un «no» gridato al «così vanno le cose». È il primo vagito di una storia nuova che Dio genera con noi.
La preghiera è il respiro della fede: pregare è una necessità, perché se smetto di respirare smetto di vivere. Questo respiro, questo canale aperto in cui scorre l’ossigeno di Dio, viene prima di tutto, prima di chiedere un dono particolare, un aiuto, una grazia. È il respiro della vita!

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ECHI DI VITA N° 59

Echi Di Vita N°59 – LA SALVEZZA E’ RITORNARE UOMO E RITORNARE FIGLIO

Dieci lebbrosi fermi a distanza: Gesù, abbi pietà. E appena li vede – subito, senza aspettare un secondo di più, troppo a lungo hanno sofferto – dice: Andate dai sacerdoti». È finita. Andate.
Siete già guariti, anche se ancora non lo vedete.
E mentre andavano furono guariti. Partono per un viaggio che era loro vietato: la lebbra è ancora evidente, ma più evidente è la speranza. Si mettono in cammino tutti e dieci, tutti hanno fede nella parola di Gesù, partono e la strada è già guarigione. Ma uno solo passa da semplice guarito a salvato, l’unico che ritorna, cui Gesù dice: la tua fede ti ha salvato. Il Vangelo è pieno di guariti. Eppure quanti di questi guariti sono anche salvati? A quanti il rifiorire della carne fa fiorire relazioni nuove con Dio, con gli uomini, con se stessi?
Ai nove che non tornano è sufficiente la guarigione. E Dio prova gioia per la loro gioia, come prima aveva provato dolore per il loro dolore. Non tornano forse perché sentono la salute come qualcosa che è loro dovuto, non come un dono, come un diritto, non come un miracolo.
Ma l’uomo non è solo il proprio corpo, la sua pienezza consiste nel passare da semplice guarito a salvato, nel trovare la vita piena entrando in comunione con il Donatore e non solo con i suoi doni.
Nell’unico che è tornato, importante non è tanto l’atto di ringraziamento, quasi che Dio fosse in cerca del nostro grazie, bisognoso di contraccambio; il lebbroso di Samaria è salvo non perché paga il pedaggio, pur santo, della gratitudine, ma perché entra in comunione. Con il proprio corpo, con i propri sentimenti, con il Signore. E rende gloria a Dio. Perché «gloria di Dio è l’uomo vivente» (sant’Ireneo). Davvero vivente è solo il samaritano: torna indietro, canta per la strada, si butta ai piedi di Gesù, gli grida il suo grazie. Gloria di Dio è solo lui, ritornato uomo e ritornato figlio.

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Echi Di Vita N°58 – LA FEDE: UN NIENTE CHE E’ TUTTO

Accresci in noi la fede, o non ce la faremo mai! Una preghiera dei discepoli che esperimentano la fatica di amare e di perdonare.
Cosa è la fede? La fede è la libera risposta dell’uomo alla proposta di Dio. Non è questione di quantità, ne basta poca, meno di poca, per ottenere risultati impensabili: se aveste fede come
un granello di senape, potrete dire a questo gelso sradicati…
Gesù sceglie di parlare del mondo interiore e misterioso della fede usando le parole di tutti i giorni, rivela il volto di Dio scegliendo il registro delle briciole, del pizzico di lievito, della fogliolina
di fico, del bambino in mezzo ai grandi. È la logica dell’Incarnazione che continua, quella di un Dio che da onnipotente si è fatto fragile, da eterno si è perduto dentro il fluire dei
giorni.
La fede è rivelata dal più piccolo di tutti i semi e poi dalla visione grandiosa di foreste che volano verso i confini del mare. La fede ha la forza di sradicare gelsi e la leggerezza di un seme
che si schiude nel silenzio.
Quante volte abbiano visto imprese che sembravano impossibili: madri e padri risorgere dopo drammi atroci, disabili con occhi luminosi come stelle, missionari salvare migliaia di bambini-soldati…
Un granello: non la fede sicura e spavalda ma quella che nella sua fragilità ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria piccolezza ha ancora più fiducia nella sua forza.
Il Vangelo termina poi con una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, chiusa da tre parole spiazzanti: siamo servi inutili. Servi inutili non perché non servono a niente, ma, secondo la radice della parola, perché non cercano il proprio utile, non avanzano rivendicazioni o pretese.
Loro gioia è servire la vita.
Una vita che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.
Inutili perché la forza che fa germogliare il seme non viene dalle mani del seminatore, l’energia non sta nel predicatore, ma nella Parola.
Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore!

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Echi Di Vita N°57 – IL VANGELO COME SORGENTE…

C’era una volta un ricco… la parabola del ricco senza nome e del povero Lazzaro inizia come una favola: c’è uno che si gode la vita, un superficiale spensierato, al quale ben presto la vita stessa presenterà il conto. Il cuore della parabola sta in un capovolgimento di situazioni: chi patisce in terra godrà nel cielo e chi gode in questa vita soffrirà nell’altra.
C’è una distanza: uno affamato e l’altro sazio, uno in salute e l’altro coperto di piaghe, uno che vive in strada l’altro al sicuro in una bella casa.
Il ricco poteva colmare la distanza che lo separava dal povero e invece l’ha ratificata e resa eterno. L’eternità inizia quaggiù, l’inferno non sarà la sentenza improvvisa di un despota, ma la lenta maturazione delle nostre scelte senza cuore.
Che cosa ha fatto il ricco di male? La parabola non si leva contro la cultura della bella casa, del ben vestire, non condanna la buona tavola. Il ricco non ha neppure infierito sul povero, non lo ha umiliato, forse era perfino uno che osservava tutti i dieci comandamenti. Lo sbaglio della sua vita è di non essersi neppure accorto dell’esistenza di Lazzaro. Non lo vede, non gli parla, non lo tocca: Lazzaro non esiste, non c’è, non lo riguarda.
Il male è l’indifferenza, lasciare intatto la distanza fra le persone. Invece il primo miracolo è accorgersi che l’altro, il povero esiste, e cercare di colmare l’abisso di ingiustizia che ci separa.
Dove è Dio in tale situazione? E’ lì presente, pronto a contare ad una ad una tutte le briciole date al povero Lazzaro e a ricordarle per sempre, tutte le parole, ogni singolo gesto di cura, tutto ciò che poteva regalare a quel naufrago, di ieri e di oggi, una vita degna e piena di rispetto, riportare quell’uomo fra gli uomini, fallo sentire tale, lui che era diventato un’ombra tra i cani. Il cammino della fede inizia sempre dalle piaghe del povero che è la carne di Cristo, tessuto della vita ecclesiale.
Ritorniamo a colmare le distanze tra di noi e con gli altri!

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Echi Di Vita N°56 – FATEVI DEGLI AMICI

La parabola del fattore infedele si chiude con un messaggio sorprendente: l’uomo ricco loda il suo truffatore. Sorpreso a rubare, l’amministratore capisce che verrà licenziato e allora escogita un modo per cavarsela, un modo geniale: adotta la strategia dell’amicizia, creare una rete di amici, cancellando parte dei loro debiti.
Con questa scelta, inconsapevolmente, egli fa ciò che Dio fa verso ogni uomo: dona e perdona, rimette i nostri debiti. Così da malfattore diventa benefattore: regala pane, olio, cioè vita, ai debitori.
Lo fa per interesse, certo, ma intanto cambia il senso, rovescia la direzione del denaro, che non va più verso l’accumulo ma verso il dono, non genera più esclusione ma amicizia.
Il Vangelo: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza perché quando essa verrà a mancare vi accolgano nelle dimore eterne. Fatevi degli amici. Amicizia diventata comandamento, umanissimo
e gioioso, elevata a progetto di vita. Il messaggio della parabola è chiaro: le persone contano più del denaro.
Amici che vi accolgano nella casa del cielo: prima di Dio ci verranno incontro coloro che abbiamo aiutato, nel loro abbraccio riconoscente si annuncerà l’abbraccio di Dio, dentro un paradiso generato dalle nostre scelte di vita.
Nessuno può servire due padroni. Non potete servire Dio e la ricchezza. Il denaro e ogni altro bene materiale, sono solo dei mezzi utili per crescere nell’amore e nella amicizia.
Il denaro non è in sé cattivo, ma può diventare un idolo e gli idoli sono crudeli perché si nutrono di carne umana, aggrediscono le fibre intime dell’umano, mangiano il cuore. Non coltivi più le amicizie, perdi gli amici, li abbandoni o li sfrutti, oppure saranno loro a sfruttare la situazione.
Il Vangelo esorta a recuperare valori come la sobrietà e la solidarietà, la condivisione e la cura del creato, non l’accumulo, ma l’amicizia, per far crescere in tutti la vita buona.

 

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Echi Di Vita N°55 – DIO NON GUARDA ALLA NOSTRA COLPA…

Da dove questo misterioso legame tra Gesù e i peccatori, che scandalizzava scribi e sacerdoti?

Ecco, allora, le tre parabole tratte da storie di vita: una pecora perduta, una moneta perduta, un figlio che se ne va e si perde. Storie di perdita, che mettono in primo piano la pena di Dio quando perde e va in cerca, ma soprattutto la sua gioia quando trova.

Ecco allora la passione del pastore.

Non è la pecora smarrita a trovare il pastore, è trovata; non sta tornando all’ovile, se ne sta allontanando; il pastore non la punisce, è viva e tanto basta.

E se la carica sulle spalle perché sia meno faticoso il ritorno.

Dio è amico della vita.

La pena di un Dio per chi ha perso una moneta, che accende la lampada e si mette a spazzare dappertutto e troverà il suo tesoro, la scoverà sotto la polvere raccolta dagli angoli più oscuri della casa. Così anche noi, sotto i graffi della vita, sotto difetti e peccati, possiamo scovare sempre, in noi e in tutti, un frammento d’oro.

Un padre che non ha figli da perdere e, se ne perde uno solo, la sua casa è vuota. Che non punta il dito e non colpevolizza i figli spariti dalla sua vista, ma li fa sentire un piccolo grande tesoro di cui ha bisogno. E corre e gli getta le braccia al collo e non gli importa niente di tutte le scuse che ha preparato, perché alla fedeltà del figlio preferisce la sua felicità.

Tutte e tre le parabole terminano con lo stesso “crescendo”.

L’ultima nota è una gioia, una contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra. Sono io l’amato perduto. Dio è in cerca di me. Se lo capisco, invece di fuggire correrò verso di lui.

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San Lorenzo Martire ® - 2016 09 03 - Echi di VITA - N 54 - Splash

Echi Di Vita N°54 – IN CRISTO PIU’ LIBERTA’ …

Gesù, sempre spiazzante nelle sue proposte, indica tre condizioni per seguirlo.
La prima: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù punta tutto sull’amore. Lo fa con parole che sembrano cozzare contro la bellezza e la forza dei nostri affetti, la prima felicità di questa vita. Ma il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non mi “ama di più”. Allora non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione.

Gesù non sottrae amori, aggiunge un “di più”. Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello. Gesù è la garanzia che i tuoi amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell’arte di amare.

La seconda: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me. Non banalizziamo la croce, non immiseriamola a semplice immagine delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della fatica o malattia da sopportare con pace. Nel Vangelo “croce” contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce.

La terza: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. La rinuncia che Gesù chiede non è un sacrificio, ma un atto di libertà: esci dall’ansia di possedere, dalla illusione che ti fa dire: “io ho, accumulo, e quindi sono e valgo. Un uomo vale quanto vale il suo cuore”.

Non lasciarti risucchiare dalle cose: la tua vita non dipende dai tuoi beni. Lascia le cose e prendi su di te la qualità dei sentimenti. Impara non ad avere di più, ma ad amare bene.

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ECHI DI VITA N°53

Echi Di Vita N°53 – NON CERCARE IL PAREGGIO TRA IL DARE E L’AVERE

C’è un incrociarsi di sguardi in quella sala che è la metafora della vita: conquistare i primi posti, competere, illusi che vivere sia vincere, prevalere, ottenere il proprio appagamento.

Gesù propone un’altra logica: Tu vai a metterti all’ultimo posto.

L’ultimo posto non è un castigo, è il posto di Dio, il posto di Gesù, venuto non per essere servito, ma per servire; è il posto di chi ama di più, di chi fa spazio agli altri.

Amico, vieni più su, dirà allora l’ospite. A colui che ha scelto di stare in fondo alla sala è riservato questo nome: amico. Amico di Dio e degli altri.

Quando offri una cena, non invitare né amici, né fratelli, né parenti, né vicini ricchi: belli questi quattro gradini del cuore in festa, quattro segmenti del cerchio caldo degli affetti; non invitarli, perché poi anche loro ti inviteranno e il cerchio si chiude nell’eterna illusione del pareggio contabile tra dare e avere.

Quando offri una cena, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Ecco di nuovo quattro gradini che ti portano oltre il cerchio della famiglia e degli affetti, oltre la gratificazione della reciprocità, che aprono finestre su di un mondo nuovo: dare in perdita, dare per primo, dare senza contraccambio.

E sarai beato perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere, come molti, come forse tutti abbiamo sperimentato.

E sarai beato perché agisci come agisce Dio, come chi impara l’amore senza calcolo, che solo fa ripartire il motore della vita: assicurati che non possano restituirti niente!!!!

Guardiamo alla comunità parrocchiale, ove la forza del Vangelo è sempre un nuovo modo per vedere la realtà della vita, il luogo dove tutto si può dare per ricevere molto da Dio.