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Parrocchia San Lorenzo - Isola del Liri - ECHI DI VITA 2023 N 49 - Foto

2023 – Echi di Vita N°49 – AVVENTO, TEMPO DELL’ATTENZIONE

Entriamo nel tempo della speranza.

Avvento vuol dire letteralmente avvicinarsi, venire vicino.

Un tempo di incamminati, in cui tutto si fa più vicino: Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso. In cui impariamo che cosa sia davvero urgente: abbreviare distanze, tracciare cammini d’incontro.

Nel Vangelo il padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi. Atto di fiducia grande, da parte di Dio; assunzione di una responsabilità enorme, da parte dell’uomo.

Come custodire i beni di Dio che abbiamo fra le mani? Beni di Dio che sono il mondo e ogni vivente?

Il Vangelo propone due atteggiamenti iniziali: fate attenzione e vegliate.

Tutti conosciamo che cosa comporta una vita distratta: fare una cosa e pensare ad altro, incontrare qualcuno ed essere con la testa da tutt’altra parte, lasciare qualcuno e non ricordare neppure il colore dei suoi occhi, per non averlo guardato. Gesti senz’anima, parole senza cuore.

Vivere con attenzione è l’altro nome dell’Avvento e di ogni vita vera.

Ma attenti a che cosa? Attenti alle persone, alle loro parole, ai loro silenzi, alle domande mute e alla ricchezza dei loro doni.

Quanta ricchezza di doni sprecata attorno a noi, ricchezza di intelligenza, di sentimenti, di bontà, che noi distratti non sappiamo vedere. Attenti alle piccole cose di ogni giorno, a ciò che accade nel cuore, nel piccolo spazio che mi è affidato.

Il secondo verbo: vegliate. Contro la vita sonnolenta, contro l’ottundimento del pensare e del sentire, contro il lasciarsi andare. Vegliate perché c’è un futuro; perché non è tutto qui, il nostro segreto è oltre noi, perché viene una pienezza che non è ancora contenuta nei nostri giorni.

Vegliate perché c’è una prospettiva, una direzione, un approdo.

Vegliare come un guardare avanti, uno scrutare la notte, uno spiare il lento emergere dell’alba, perché la notte che preme intorno non è l’ultima parola, perché il presente non basta a nessuno.

Vegliate su tutto ciò che nasce, sui primi passi della pace, sui germogli della luce.

Allora è sempre tempo d’Avvento, sempre tempo di abbreviare distanze, di vivere con attenzione. Sempre tempo di adottare strategie di risveglio della mente e del cuore, in modo da non arrendersi al preteso primato del male e della notte, in modo da non dissipare bellezza, e non peccare mai contro la speranza.

don Alfredo Di Stefano

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Parrocchia San Lorenzo - Isola del Liri - ECHI DI VITA 2023 N 48 - Foto

2023 – Echi di Vita N°48 – COSA RESTERA’ DI NOI ALLA FINE? L’AMORE DATO E RICEVUTO

Il Vangelo dipinge una scena potente, drammatica che noi siamo soliti chiamare il giudizio universale. Che cosa resta della nostra persona quando non rimane più niente?

Resta l’amore, dato e ricevuto.

Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere: e tu mi hai aiutato.

Sei passi di un percorso, dove la sostanza della vita ha nome amore, forma dell’uomo, forma di Dio, forma del vivere. Sei passi per incamminarci verso il Regno, la terra come Dio la sogna. E per intuire tratti nuovi del volto di Dio, così belli da incantarmi ogni volta di nuovo.

Prima di tutto Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini da arrivare fino a identificarsi con loro: l’avete fatto a me. Il povero è come Dio!

Corpo di Dio, carne di Dio sono i piccoli.

Poi emerge l’argomento attorno al quale si tesse l’ultima rivelazione: il bene, fatto o non fatto.

Nella memoria di Dio non c’è spazio per i nostri peccati, ma solo per i gesti di bontà e per le lacrime. Perché il male non è rivelatore, mai, né di Dio né dell’uomo. È solo il bene che dice la verità di una persona.

Poi dirà agli altri: Via, lontano da me… tutto quello che non avete fatto a uno di questi piccoli, non l’avete fatto a me.

Gli allontanati da Dio che male hanno commesso? Non quello di aggiungere male a male, il loro peccato è il più grave, è l’omissione: non hanno fatto il bene, non hanno dato nulla alla vita.

Non basta giustificarsi dicendo: io non ho mai fatto del male a nessuno. Perché si fa del male anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra. Non impegnarsi per il bene comune, restando a guardare, è già farsi complici del male comune.

Ciò che accade nell’ultimo giorno mostra che la vera alternativa non è tra chi frequenta le chiese e chi non ci va, ma tra chi si ferma accanto all’uomo bastonato e a terra, e chi invece tira dritto; tra chi spezza il pane e chi si gira dall’altra parte, e passa oltre.

Ma oltre l’uomo non c’è nulla, tantomeno il Regno di Dio.

don Alfredo Di Stefano

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Parrocchia San Lorenzo - Isola del Liri - ECHI DI VITA 2023 N 47 - Foto

2023 – Echi di Vita N°47 – L’INVITO A NON AVER PAURA DELLA VITA

Dai protagonisti della parabola emergono due visioni opposte della vita: l’esistenza, e i talenti ricevuti, come una opportunità; oppure l’esistenza come un lungo tribunale, pieno di rischi e di paure.

I primi due servi entrano nella vita come in una possibilità gioiosa; l’ultimo non entra neppure, paralizzato dalla paura di uscirne sconfitto. La parabola dei talenti è il poema della creatività, perché nes­suno dei tre servi crede di poter salvare il mondo.

Il Vangelo è pieno di una teologia semplice, la teologia del seme, del lievito, di inizi che devono fiorire. A noi tocca il lavoro paziente e intelligente di chi ha cura dei germogli. Dio è la primavera del cosmo, a noi il compito di esserne l’estate feconda di frutti.

Leggiamo bene il seguito della parabola: Dio non è un padrone che rivuole indietro i suoi talenti, con in aggiunta quelli che i servi hanno guadagnato. Ciò che i servi hanno realizzato non solo rimane a loro, ma è moltiplicato un’altra volta: «Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto».

Il padrone non ha bisogno di quei dieci o quattro talenti. I servi vanno per restituire e Dio rilancia: e questo accrescimento, questo incremento di vita, questa spirale d’amore crescente è l’energia segreta di tutto ciò che vive. Noi non viviamo semplicemente per restituire a Dio i suoi doni. Ci sono dati perché diventino a loro volta seme di altri doni, lievito che solleva, addizione di vita per noi e per tutti coloro che ci sono affidati.

Non c’è neppure una tirannia, nessun capitalismo della quantità. Infatti chi consegna dieci talenti non è più bravo di chi che ne consegna quattro. Le bilance di Dio non sono quantitative, ma qualitative.

Non ci sono dieci talenti ideali da raggiungere: c’è da camminare con fedeltà a ciò che hai ricevuto, a ciò che sai fare, là dove la vita ti ha messo, fedele alla tua verità, senza maschere e paure.

La parabola dei talenti è un invito a non avere paura della vita, perché la paura paralizza, perché tutto ciò che scegli di fare sotto la spinta della paura, anziché sotto quella della speranza, impoverisce la tua storia. La pedagogia del Vangelo offre tre grandi regole di maturità: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura.

don Alfredo Di Stefano

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Parrocchia San Lorenzo - Isola del Liri - ECHI DI VITA 2023 N 46 - Foto

2023 – Echi di Vita N°46 – DIO E’ UNA VOCE CHE CI RISVEGLIA

Ecco lo sposo! Andategli incontro!

In queste parole trovo l’immagine più bella dell’esistenza umana, rappresentata come un uscire e un andare incontro.

Uscire da spazi chiusi e, in fondo alla notte, lo splendore di un abbraccio.

Dio come un abbraccio.

L’esistenza come un uscire incontro. Fin da quando usciamo dal grembo della madre e andiamo incontro alla vita, fino al giorno in cui usciamo dalla vita per incontrare la nostra vita, nascosta in Dio.

Il secondo elemento importante della parabola è la luce: il Regno di Dio è simile a dieci ragazze armate solo di un po’ di luce, di quasi niente, del coraggio sufficiente per il primo passo. Il regno di Dio è simile a dieci piccole luci, anche se intorno è notte. Simile a qualche seme nella terra, a una manciata di stelle nel cielo, a un pizzico di lievito nella pasta.

Ma sorge un problema: cinque ragazze sono sagge, hanno portato dell’olio, saranno custodi della luce; cinque sono stolte, hanno un vaso vuoto, una vita vuota, presto spenta.

Gesù non spiega che cosa sia l’olio delle lampade. Sappiamo però che ha a che fare con la luce e col fuoco: in fondo, è saper bruciare per qualcosa o per Qualcuno. L’alternativa centrale è tra vivere accesi o vivere spenti.

Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono… la risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi.

Il senso profondo di queste parole è un richiamo alla responsabilità: un altro non può amare al posto mio, essere buono o onesto al posto mio, desiderare Dio per me. Se io non sono responsabile di me stesso, chi lo sarà per me?

Parabola esigente e consolante. Tutte si addormentano, sagge e stolte, ed è la nostra storia: tutti ci siamo stancati, forse abbiamo mollato. Ma nel momento più nero, qualcosa, una voce una parola una persona, ci ha risvegliato.

La nostra vera forza sta nella certezza che la voce di Dio verrà. È in quella voce, che non mancherà; che verrà a ridestare da tutti gli sconforti; che mi rialza dicendo che di me non è stanca; che disegna un mondo colmo di incontri e di luci.

Dio non ci coglie in flagrante, è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto, per mille strade. A me basterà avere un cuore che ascolta, ravvivarlo come una lampada, e uscire incontro a un abbraccio.

don Alfredo Di Stefano

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Parrocchia San Lorenzo - Isola del Liri - ECHI DI VITA 2023 N 45 - Foto

2023 – Echi di Vita N°45 – IL PIU’ GRANDE E’ CHI AMA DI PIU’

Il Vangelo evidenzia due questioni di fondo, che chiunque desideri una vita autentica deve affrontare. La prima: essere o apparire. La seconda: l’amore per il potere.

Praticate ciò che vi dicono, ma non fate secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno.

La severità di Gesù non va contro la debolezza di chi vorrebbe ma non ce la fa, bensì contro l’ipocrisia di chi fa finta. Verso la nostra debolezza Gesù si è sempre mostrato premuroso.

L’ipocrita non si accontenta di essere peccatore, vuole apparire buono. E con la sua falsa virtù fa sì che gli uomini non si fidino più neanche della virtù autentica.

Gesù poi stigmatizza un secondo errore che rovina la vita: l’amore del potere.

Non fatevi chiamare maestro, dottore, padre, come se foste superiori agli altri. Voi siete tutti fratelli.

E già questo è un primo grande capovolgimento: tutti fratelli, nessuno superiore agli altri, relazione paritaria e affettuosa. Ma a Gesù questo non basta e opera un ulteriore capovolgimento: il più grande tra voi è colui che serve.

Il più grande è chi ama di più. Il mondo ha bisogno d’amore e non di ricchezza per fiorire. E allora il più grande del nostro mondo sarà forse una mamma sconosciuta, che lavora e ama nel segreto della sua casa o nelle foreste d’Africa.

Gesù rovescia la nostra idea di grandezza, ne prende la radice e la capovolge al sole e all’aria e dice: tu sei grande quanto è grande il tuo cuore. Siete grandi quando sapete amare, quando sapete farlo con lo stile di Gesù, traducendo l’amore in servizio: sono venuto per servire non per essere servito.

È l’assoluta novità di Gesù: Dio non tiene il mondo ai suoi piedi, è Lui ai piedi di tutti. Dio è il grande servitore, non il padrone. Lui io servirò, perché Lui si è fatto mio servitore.

don Alfredo Di Stefano

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Parrocchia San Lorenzo - Isola del Liri - ECHI DI VITA 2023 N 44 - Foto

2023 – Echi di Vita N°44 – AMARE, L’”UNICO” COMANDAMENTO

Qual è il grande comandamento? Gesù risponde indicando qualcosa che sta al centro dell’uomo: tu amerai. Lui sa che la creatura ha bisogno di molto amore per vivere bene. E offre il suo Vangelo come via per la pienezza e la felicità di questa vita.

Amerai Dio con tutto, con tutto, con tutto. Per tre volte Gesù ripete che l’unica misura dell’amore è amare senza misura.

Ama Dio con tutto il cuore: totalità non significa esclusività. Ama Dio senza mezze misure, e vedrai che resta del cuore, anzi cresce, per amare i tuoi familiari, gli amici, te stesso. Dio non è geloso, non ruba il cuore: lo moltiplica.

Ama con tutta la mente. L’amore rende intelligenti, fa capire prima, andare più a fondo e più lontano.

Ama con tutte le forze. L’amore rende forti, capaci di affrontare qualsiasi ostacolo e fatica.

Da dove cominciare? Dal lasciarsi amare da Lui, che entra, dilata, allarga le pareti di questo piccolo vaso che sono io. Noi siamo degli amati che diventano amanti.

Domandano a Gesù qual è il comandamento grande e Lui invece di un comandamento ne elenca due: amerai Dio, amerai il prossimo.

Gesù non aggiunge nulla di nuovo: il primo e il secondo comandamento sono già scritti nella Bibbia. Eppure dirà che il suo è un comando nuovo.

Dove sta la novità? Sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, l’unico comandamento. E dice: il secondo è simile al primo. Amerai l’uomo è simile ad amerai Dio. Il prossimo è simile a Dio.

Amerai il tuo prossimo come ami te stesso. È quasi un terzo comandamento sempre dimenticato: «ama te stesso», perché sei come un prodigio, porti l’impronta della mano di Dio. Se non ami te stesso, non sarai capace di amare nessuno, saprai solo prendere e possedere, fuggire o violare, senza gioia né gratitudine.

Ma perché amare, amare con tutto me stesso? Perché dare e ricevere amore è ciò su cui posa la beatitudine della vita.

Perché Dio-amore è l’energia fondamentale del cosmo, e amando partecipi di questa energia: quando ami, è il Totalmente Altro che viene perché la storia sia totalmente altra da quello che è.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 43 - Evidenza

2023 – Echi di Vita N°43 – A CESARE CIO’ CHE E’ DI CESARE. E NOI SIAMO DEL SIGNORE

E lecito o no pagare il tributo a Roma? Stai con gli invasori o con la tua gente?

Con qualsiasi risposta Gesù avrebbe rischiato la vita. Erodiani e farisei, due facce note del pantheon del potere, pur essendo nemici giurati tra loro, in questo caso si accordano contro il giovane rabbi di cui temono le parole e vogliono stroncare la carriera. Ma Gesù non cade nella trappola, anzi: ipocriti, li chiama, cioè commedianti, la vostra esistenza è una recita.

Mostratemi la moneta del tributo.

Siamo a Gerusalemme, nell’area sacra del tempio, dove era proibito introdurre qualsiasi figura umana, anche se coniata sulle monete. Per questo c’erano i cambiavalute all’ingresso. I farisei, i puri, con la loro religiosità ostentata, portano dentro il luogo più sacro della nazione, la moneta pagana proibita con l’effigie dell’imperatore Tiberio.

Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare. È lecito pagare? avevano chiesto.

Gesù risponde impiegando un altro verbo, restituire, come per uno scambio: prima avete avuto, ora restituite.

Rendete a Cesare, vale a dire pagate tuffi le imposte per servizi che raggiungono tuffi.

Come non applicare questa chiarezza immediata di Gesù ai nostri giorni di faticose riflessioni su manovre finanziarie, tasse, fisco; ai farisei di oggi, per i quali evadere le imposte, cioè non restituire, trattenere, è normale?

E aggiunge: Restituite a Dio quello che è di Dio. Di Dio è la terra e quanto contiene; l’uomo è cosa di Dio. Di Dio è la mia vita. Neppure essa mi appartiene.

Ogni uomo e ogni donna vengono al mondo come vite che risplendono, come talenti d’oro su cui è coniata l’immagine di Dio e l’iscrizione: tu appartieni alle sue cure, sei iscritto al suo Amore.

Restituisci a Dio ciò che è di Dio, cioè te stesso.

A Cesare le cose, a Dio le persone. A Cesare oro e argento, a Dio l’uomo. A me e ad ogni persona, Gesù ripete: tu non appartieni a nessun potere, resta libero da tuffi, ribelle ad ogni tentazione di lasciarti asservire.

Ad ogni potere umano il Vangelo dice: non appropriarti dell’uomo. Non violarlo, non umiliarlo: è cosa di Dio, ogni creatura è prodigio grande che ha il Creatore nel sangue e nel respiro.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2023 N 42 - Copertina

2023 – Echi di Vita N°42 – AL SIGNORE STA A CUORE LA NOSTRA GIOIA

Tre immagini riassumono la parabola:

la sala della festa, le strade, l’abito nuziale.

  1. La sala della festa rimane vuota e triste, fotografia impietosa del fallimento del re: nessuno vuole il suo regalo, nessuno partecipa alla sua gioia. Perché gli invitati non rispondono al suo invito? Abbiamo tutti sperimentato che per far festa davvero con gli altri è necessario un anticipo di felicità dentro, è necessario essere contenti. Ecco perché i primi invitati non rispondono, perché non sono felici: hanno perso la gioia del cuore dietro alle cose e agli affari.
  1. Le strade. Allora il Dio che vive per creare gioia condivisa, dice ai servi: «Andate per le strade, agli incroci, ai semafori, lungo le siepi…». E l’invito sembra casuale, invece vuole esprimere la precisa volontà che nessuno sia escluso. È bello questo nostro Dio che quando è rifiutato, anziché abbassare le attese le alza: chiamate tutti! Che apre, allarga, gioca al rilancio, va più lontano; e dai molti invitati passa a tutti invitati: tutti quelli che troverete, cattivi o buoni, fateli entrare. Notate: prima i cattivi e poi i buoni… Noi non siamo chiamati perché siamo buoni e ce lo meritiamo, ma perché diventiamo buoni, lasciandoci incontrare e incantare da una proposta di vita bella, buona e felice da parte di Dio.
  1. L’abito nuziale che un commensale non indossa ed è gettato fuori. A capire che cosa rappresenti quell’abito ci aiuta una parola sussurrataci il giorno del Battesimo quando, ponendo sopra di noi una piccola veste bianca, il sacerdote ha detto: «Adesso rivestiti di Cristo!». Il nostro abito è Cristo! Passare la vita a rivestirci di Cristo, a fare nostri i suoi gesti, le sue parole, il suo sguardo, le sue mani, i suoi sentimenti; a preferire coloro che egli preferiva.

La parabola ci aiuta a non sbagliarci su Dio. Noi lo pensiamo come un Re che ci chiama a servirlo e invece è Lui che ci serve. Lo temiamo come il Dio dei sacrifici ed è il Dio cui sta a cuore la gioia; uno che ci impone di fare delle cose per lui e invece ci chiede di lasciargli fare cose grandi per noi.

Lo pensiamo lontano, separato, e invece è dentro la sala della vita, la sala del mondo, come una promessa di felicità, una scala di luce posata sul cuore e che sale verso Dio.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2023 N 41 - Copertina

2023 – Echi di Vita N°41 – NELLA VIGNA DEL SIGNORE SI RACCOGLIE GIUSTIZIA E PACE

L’uomo dei campi, il nostro Dio contadino, guarda la sua vigna con gli occhi dell’amore e la circonda di cure: che cosa potevo fare di più per te che io non abbia fatto? Canto d’amore di un Dio appassionato, che fa per me ciò che nessuno farà mai.

Quale raccolto si attende il Signore?

Isaia: Aspettavo giustizia, attendevo rettitudine, non più grida di oppressi, non più sangue! Il frutto che Dio attende è una storia che non generi più oppressi, sangue e ingiustizia, fughe disperate e naufragi.

Nelle vigne è il tempo del raccolto.

Per noi lo è ogni giorno: vengono persone, cercano pane, Vangelo, giustizia, coraggio, un raggio di luce. Che cosa trovano in noi? Vino buono o uva acerba? La parabola cammina, però, verso un orizzonte di amarezza e di violenza.

In contrasto con la bassezza dei vignaioli emerge la grandezza del mio Dio contadino, un Signore che non si arrende, non è mai a corto di meraviglie, non ci molla e ricomincia dopo ogni rifiuto ad assediare il cuore con nuovi Profeti e servitori, e infine con il Figlio.

Costui è l’erede, uccidiamolo e avremo noi l’eredità!

La parabola è trasparente: la vigna è Israele, i vignaioli avidi sono le autorità religiose, che uccideranno Gesù come bestemmiatore.

Il movente è lo stesso: l’interesse, potere e denaro, tenersi il raccolto e l’eredità!

È la voce oscura che grida in ciascuno: sii il più forte, il più furbo, non badare all’onestà, e sarai tu il capo, il ricco, il primo. Questa ubriacatura per il potere e il denaro è l’origine di tutte le vendemmie di sangue della terra.

Cosa farà il padrone? La risposta delle autorità è secondo logica giudiziaria: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia si fonda sull’eliminare chi sbaglia. Gesù non è d’accordo. Lui non parla di far morire, mai; il suo scopo è far fruttificare la vigna: sarà data a un popolo che produca frutti.

La storia perenne di amore e tradimenti tra Dio e l’uomo non si concluderà né con un fallimento né con una vendetta, ma con l’offerta di una nuova possibilità: darà la vigna ad altri.

Tra Dio e l’uomo le sconfitte servono solo a far meglio risaltare l’amore di Dio.

Il sogno di Dio non è né il tributo finalmente pagato né la condanna a una pena esemplare per chi ha sbagliato, ma una vigna, un mondo che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, che non sia una guerra perenne per il potere e il denaro, ma che maturi una vendemmia di giustizia e di pace, la rivoluzione della tenerezza, la triplice cura di sé, degli altri e del creato, come nell’ultima esortazione del Papa.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2023 N 40 - Copertina

2023 – Echi di Vita N°40 – DISCEPOLI NEI FATTI, NON A PAROLE

«Un uomo aveva due figli», e si potrebbe tradurre così: un uomo aveva due cuori.

Siamo tutti così, contradditori e incerti, con due cuori: uno che dice sì e uno che lo contraddice.

Abbiamo tutti due anime: quella dell’apparire e del fingere per gli altri, e quella dell’essere veri anche se nessuno vede e sa.

Non si illude Gesù. Conosce bene come siamo fatti: non esiste un terzo figlio ideale, in cui senza contraddizioni avvenga l’incontro perfetto del dire e del fare. Così noi: cristiani solo a parole o con i fatti?

Primo attore della breve parabola è il padre, che va’ verso i suoi figli, si fa vicino, li cerca, chiede loro di lavorare in una vigna che non dice «mia», ma sottintende «nostra», che al ri­fiuto non si scandalizza e non si deprime.

C’è poi un figlio vivo e reattivo, impulsivo, che prima di aderire a suo padre prova il bisogno imperioso, vitale, di fronteggiarlo, di misurarsi con lui, di contraddirlo, che non ha nulla di servile, libero da sudditanze e da paure.

L’altro figlio, che dice e non fa’, è invece un adolescente immaturo, che si accontenta di apparire, cui importa non la verità e la coerenza ma il giudizio degli altri. Qualcosa poi accade e viene a disarmare il rifiuto del figlio che ha detto no.

Tutto in una parola: ‘si pentì’, cioè ‘cambiò il modo di vedere’ il padre e il lavoro.

La differenza decisiva tra i due ragazzi: uno diventa figlio e coinvolto, l’altro rimane un servo esecutore di ordini. Chi dei due ha fatto la volontà del padre?

È il passaggio centrale: volontà di Dio non è mettere alla prova l’obbedienza o la coerenza dei figli, è invece una vigna dai grappoli colmi di sole e di miele. Il suo progetto, suo e mio, si realizza nei frutti buoni che ognuno può portare per la vita del mondo.

Ciò che Dio sogna non è l’obbedienza o la fatica, ma far maturare la vigna della storia. Se agisci così fai vivere te stesso, dice il profeta Ezechiele nella I lettura, fai viva la tua vita!

E il vangelo si diffonderà a partire da tutte le piccole vigne nascoste, dove ciascuno si impegna a rendere meno arida la terra, meno soli gli uomini, meno contraddittorio il cuore.

don Alfredo Di Stefano

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