Author : E. Redazione

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 44

2022 – Echi di Vita N°44 – INCONTRARE GESU’ CI RENDE LIBERI

C’è un Rabbi che riempie di gente le strade. Tanta gente, al punto che Zacchéo, piccolo di statura, ha davanti a sé un muro. Ma questo piccolo-grande uomo non ha complessi, ha un obiettivo: vuole vedere Gesù.

Di parlargli non spera, e invece di nascondersi dietro l’alibi dei suoi limiti, cerca la soluzione: l’albero.

Zacchéo agisce in nome non della paura ma del desiderio, e così diventa creativo, in­venta, va’ controcorrente, respira un’energia che lo fa correre avanti e salire in alto.

Gesù passando alzò lo sguardo: guarda quell’uomo dal basso verso l’alto, come quando si inginocchia e lava i piedi ai discepoli. Dio non ci guarda mai dall’alto in basso, ma sempre dal basso verso l’alto, con infinito rispetto, annullando ogni distanza.

Lo sguardo di Gesù: il solo sguardo che non giudica, non condanna, non umilia, e perciò libera; che va diritto al cuore e interpella la parte migliore di ciascuno, quel frammento puro che nessun peccato arriverà mai a can­cellare.

Zacchéo vuol dire «Dio si ricorda». Ma non del tuo peccato, bensì del tuo tesoro si ricorda. Zacchéo cerca di vedere Gesù e scopre che Gesù cerca di vedere lui. Il cercatore si accorge di essere cercato, l’amante scopre di essere amato: Zacchéo, scendi, oggi devo fermarmi a casa tua.

«Devo» dice Gesù, devo fermarmi!

Dio deve cercarmi, deve farlo per un suo intimo bisogno: a Dio manca qualcosa, manca Zacchéo, manca l’ultima pecora, manco io.

Se Gesù avesse detto: Zacchéo, io ti conosco bene, so che sei un ladro, se restitui­sci ciò che hai rubato verrò a casa tua. Credetemi: Zacchéo sarebbe rimasto sull’al­bero.

Zacchéo prima incontra, poi si converte: incontrare uno come Gesù fa credere nell’uomo; incontrare un uomo così rende liberi; incontrare un Dio che non fa prediche e non condanna, ma che si fa amico, moltiplica l’amicizia.

Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Poche parole: fretta, accogliere, gioia, che dicono sulla conversione più di tanti trattati. Apro la casa del cuore a Dio, con fiducia, e la gioia e la vita si rimettono in moto.

Infatti vediamo la casa di Zacchéo riempirsi di amici, il ricco diventare amico dei poveri: «Metà di tutto ciò che ho è per loro». Come se i poveri fossero la metà di se stesso.

Oggi a casa tua. Dio alla portata di ognuno. Dio nella casa: alla mia tavola, come un familiare, intimo come una persona cara. Perché Gerico è su ogni strada del mondo: per ogni piccolo c’è un albero, per ognuno uno sguardo. La casa di Zacchéo è la mia.

Attendo nella mia casa il Signore?

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 43

2022 – Echi di Vita N°43 – IL PUBBLICANO E QUEL “TU” CHE SALVA…

Gesù, rivolgendosi a chi si sente a posto e disprezza gli altri, mostra che non si può pregare e disprezzare, adorare Dio e umiliare i suoi figli, come fa il fariseo.

Pregare può diventare in questo caso perfino pericoloso: puoi tornare a casa tua con un peccato in più.

Eppure il fariseo inizia la preghiera con le parole giuste: O Dio, ti ringrazio.

Ma tutto ciò che segue è sbagliato: ti ringrazio di non essere come gli altri, ladri, ingiusti, adulteri.

La sua preghiera è un confronto e un giudizio sugli altri, tutti disonesti e immorali. L’unico che si salva è lui stesso.

Come deve stare male il fariseo in un mondo così malato, dove è il male che trionfa dappertutto! Il fariseo: un buon esecutore di precetti, onesto ma infelice.

Io digiuno, io pago le decime, io non sono… Il fariseo è irretito da una parola che non cessa di ripetere: io, io, io.

È un Narciso allo specchio, per il quale Dio non serve a niente se non a registrare le sue performances, è solo una muta superficie su cui far rimbalzare la sua soddisfazione.

Il fariseo non ha più nulla da ricevere, nulla da imparare: conosce il bene e il male e il male sono gli altri. Ha dimenticato la parola più importante del mondo: tu.

Il pubblicano invece dal fondo del tempio non osava neppure alzare gli occhi, si batteva il petto e diceva: Abbi pietà di me peccatore.

Due parole cambiano tutto nella sua preghiera, rendendola autentica.

La prima parola è tu: Tu abbi pietà.

Mentre il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che lui fa’, il pubblicano la fonda su quello che Dio fa.

L’insegnamento della parabola è chiaro: la relazione con Dio non segue logiche diverse dalle relazioni umane. Le regole sono semplici e valgono per tutti.

La seconda parola è: peccatore.

In essa è riassunto un intero discorso: “sono un poco di buono, è vero, ma così non sto bene, non sono contento; vorrei tanto essere diverso, ci provo, ma ancora non ce la faccio; e allora tu perdona e aiuta“.

Il pubblicano tornò a casa sua giustificato, non perché più umile del fariseo, ma perché si apre -come una porta che si socchiude al sole, come una vela che si inarca al vento- a un Altro più grande del suo peccato, che viene e trasforma.

Si apre alla misericordia, a questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua sola onnipotenza.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 42

2022 – Echi di Vita N°42 – LA LEZIONE DELLA PREGHIERA DELLA VEDOVA CHE NON SI ARRENDE

Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre. E a noi pare un obiettivo impossibile da raggiungere. Ma il pregare sempre non va confuso con il recitare preghiere senza interruzione.

Gesù stesso l’ha detto: quando pregate non moltiplicate parole. Perché pregare è come voler bene. Infatti c’è sempre tempo per voler bene: se ami qualcuno, lo ami sempre.

Il Vangelo ci porta a scuola di preghiera da una vedova, una bella figura di donna, forte e dignitosa, che non si arrende, fragile e indomita al tempo stesso. Ha subito ingiustizia e non abbassa la testa.

C’era un giudice corrotto. E una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario!

Gesù lungo tutto il Vangelo ha una predilezione particolare per le donne sole, perché rappresentano l’intera categoria biblica dei ‘senza difesa’, vedove orfani forestieri, i difesi da Dio.

Una donna che non si lascia schiacciare ci rivela che la preghiera è un “no” gridato al ‘così vanno le cose’.

Perché pregare? È come chiedere: perché respirare? Per vivere.

La preghiera è il respiro della fede. Come un canale aperto in cui scorre l’ossigeno dell’infinito, un riattaccare continuamente la terra al cielo. Come per due che si amano, il respiro del loro amore.

Forse tutti ci siamo qualche volta stancati di pregare. Le preghiere si alzavano in volo dal cuore come colombe dall’arca del diluvio, ma nessuna tornava indietro a portare una risposta.

E mi sono chiesto, e mi hanno chiesto, tante volte: ma Dio esaudisce le nostre preghiere, si o no?

E il Vangelo ne è pieno: non vi lascerò orfani, sarò con voi, tutti i giorni, fino alla fine del tempo.

Non si prega per cambiare la volontà di Dio, ma il cuore dell’uomo. Non si prega per ottenere, ma per essere trasformati.

Contemplando il Signore veniamo trasformati in quella stessa immagine.

Contemplare, trasforma. Uno diventa ciò che contempla con gli occhi del cuore. Uno diventa ciò che prega. Uno diventa ciò che ama.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 41

2022 – Echi di Vita N°41 – LA FEDE E’ LIBERA RISPOSTA ALL’AMORE DI DIO

Dieci lebbrosi all’ingresso di un villaggio, nove giudei e un samaritano insieme.

La sofferenza li ha uniti, la guarigione li separerà.

Insieme pregano Gesù ed egli: appena li vede…

Notiamo il dettaglio: subito, senza aspettare un secondo di più, appena li vede, con un’ansia di guarirli.

Gesù disse loro: Andate a presentarvi ai sacerdoti. E mentre andavano, furono purificati. Sono purificati non quando arrivano dai sacerdoti, ma mentre camminano, sui passi della fede.

Nove dei guariti non tornano: scompaiono nel vortice della loro felicità, dentro gli abbracci ritrovati, ritornati persone piene, libere.

Unico, un eretico straniero torna indietro e lo fa perché ascolta il suo cuore, perché intuisce che la salute non viene dai sacerdoti, ma da Gesù; non dall’osservanza di leggi e riti, ma dal rapporto vivo con lui.

Per Gesù conta il cuore e il cuore non ha frontiere politiche o religiose.

Il centro del brano è l’ultima parola: la tua fede ti ha salvato.

Nove sono guariti, ma uno solo è salvato. Per fede. La fede nasce dal bisogno, dal grido universale della carne che soffre, dalla nostra fame di vita, di senso, di amore, di salute, quando non ce la fai e tendi le mani.

Il «bisogno» è il primo passo del cammino di fede.

Il secondo è «mi fido». Il grido del bisogno è ricco di fiducia: qualcuno ascolterà, qualcuno verrà, già viene in aiuto. I dieci si fidano di Gesù e sono guariti. Ma a questa fede manca qualcosa, una dimensione fondamentale: la gioia di un abbraccio, una relazione, una reciprocità, una risposta.

Il terzo passo «ti ringrazio» è compiuto  dallo straniero. Tutti hanno ricevuto il dono, uno solo ha risposto. La fede è la libera risposta dell’uomo a Dio. Ed entrare in contatto con la madre di tutte le parole religiose: «grazie».

Voglio fare come quello straniero: inizierò la mia giornata tornando a Dio con il cuore, non recitando preghiere, ma donandogli una cosa, una parola: «grazie». E lo stesso farò poi con quelli di casa. Lo farò in silenzio e con un sorriso.

don Aldredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 40

2022 – Echi di Vita N°40 – LA FEDE, UN «NIENTE» CHE PUO’ «TUTTO»

Gesù ha appena avanzato la sua proposta, unica misura del perdono è perdonare senza misura, che agli Apostoli appare un obiettivo inarrivabile, al di là delle loro forze, e sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede.

Da soli non ce la faremo mai.

Gesù però non esaudisce la richiesta, perché non tocca a Dio aggiungere, accrescere, aumentare la fede, non può farlo: essa è la libera risposta dell’uomo a Dio.

Gesù cambia la prospettiva da cui guardare la fede, introducendo come unità di misura il granello di senape, proverbialmente il più piccolo di tutti i semi: non si tratta di quantità, ma di qualità della fede.

Fede come granello, come briciola, non quella sicura e spavalda, ma quella che, nella sua fragilità, ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria piccolezza ha ancora più fiducia nella sua forza. Allora ne basta un granello, poca, anzi meno di poca, per ottenere risultati impensabili.

La fede è un niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di sradicare alberi e la leggerezza di farli volare sul mare: se aveste fede come un granello di senape, potrete dire a questo gelso sradicati.

 

Segue poi una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, che inizia come una fotografia della realtà: Chi di voi, se ha un servo ad arare, gli dirà, quando rientra: Vieni e mettiti a tavola? E che termina con una proposta spiazzante, nello stile tipico del Signore: Quando avete fatto tutto dite: siamo servi inutili.

Capiamo bene: servo inutile significa non determinante, non decisivo; indica che la forza che fa crescere il seme non appartiene al seminatore; che la forza che converte non sta nel predicatore, ma nella Parola.

Allora capisco che chiedere «accresci la mia fede» significa domandare che questa forza vivificante entri come linfa nelle vene del cuore.

Servo inutile è colui che, in una società che pensa solo all’utile, scommette sulla gratuità, senza cercare il proprio vantaggio, senza vantare meriti. La sua gioia è servire la vita, custodendo con tenerezza coloro che gli sono affidati.

Mai nel Vangelo è detto inutile il servizio, anzi esso è il nome nuovo, il nome segreto della civiltà.

È il nome dell’opera compiuta da Gesù, venuto per servire, non per essere servito.

Come lui anch’io sarò servo, perché questo è l’unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 39

2022 – Echi di Vita N°39 – IL PECCATO DEL RICCO? NON VEDERE I BISOGNOSI

Una parabola dura e dolce, con la morte a fare da spartiacque tra due scene: nella prima il ricco e il povero sono contrapposti in un confronto impietoso; nella seconda, si intreccia, sopra il grande abisso, un dialogo mirabile tra il ricco e il padre Abramo.

Prima scena: un personaggio avvolto di porpora, uno vestito di piaghe; il ricco banchetta a sazietà e spreca, Lazzaro guarda con occhi tristi e affamati, a gara con i cani, se sotto la tavola è caduta una briciola.

Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto nell’inferno.

Una domanda si impone con forza a questo punto: perché il ricco è condannato nell’abisso di fuoco? Di quale peccato si è macchiato?

 

Gesù non denuncia una mancanza specifica o qualche trasgressione di comandamenti o precetti. Mette in evidenza il nodo di fondo: un modo iniquo di abitare la terra, un modo profondamente ateo, anche se non trasgredisce nessuna legge.

Un mondo così, dove uno vive da Dio e uno da rifiuto, è quello sognato da Dio?

È normale che una creatura sia ridotta in condizioni disumane per sopravvivere?

 

Prima ancora che sui comandamenti, lo sguardo di Gesù si posa su di una realtà profondamente malata, da dove sale uno stridore, un conflitto, un orrore che avvolge tutta la scena. E che ci fa provare vergogna.

Di quale peccato si tratta?

Se mi chiudo nel mio io, anche adorno di tutte le virtù, ma non partecipo all’esistenza degli altri, se non sono sensibile e non mi dischiudo agli altri, posso essere privo di peccati, eppure vivo in una situazione di peccato.

 

Doveva scavalcarlo sulla soglia ogni volta che entrava o usciva dalla sua villa, e, impassibile, neppure lo vedeva!

Non gli ha fatto del male, no. Semplicemente Lazzaro non c’era, non esisteva, lo ha ridotto a un rifiuto, a nulla.

Ora Lazzaro è portato in alto, accolto nel grembo di Abramo, che proclama il diritto di tutti i poveri ad essere trattati come figli. Ma “figlio” è chiamato anche il ricco, nonostante l’inferno, anche lui figlio per sempre di un Abramo dalla dolcezza di madre.

Padre, una goccia d’acqua sopra l’abisso! Una parola sola per i miei cinque fratelli!

E invece no, perché non è la morte che converte, ma la vita.

 

Hanno Mosè e i profeti, hanno il grido dei poveri, che sono la voce e la carne di un Dio che si identifica con loro.

Si tratta allora di prendere, come Gesù, il punto di vista dei poveri, di scegliere sempre l’umano contro il disumano, con quel suo sguardo amoroso e forte davanti al quale ogni legge diventa piccina, perfino quella di Mosè.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 38 - Evidenza

2022 – Echi di Vita N°38 – LA VERA RICCHEZZA E’ «FARSI DEGLI AMICI»

Un’altra parabola dal finale spiazzante: il truffato loda il suo truffatore.

La lode del signore però ha un bersaglio preciso, non si riferisce alla disonestà dell’amministratore, ma alla sua scaltrezza.

 

Ha saputo fermarsi a pensare e lì ha incominciato a capire la differenza tra falsa ricchezza e vera ricchezza. Poi ha iniziato a usare il patrimonio economico per crearsi il vero patrimonio, quello relazionale: farsi degli amici che lo accolgano.

 

Siediti e scrivi cinquanta, prendi la ricevuta e scrivi ottanta.

Forse è pronto a eliminare dal debito la percentuale che spettava a lui, ma questo non è determinate. Ha capito dove investire: condividere il debito per creare reddito, reddito di amicizia, spirituale.

 

E il racconto continua assicurando che servono amici e relazioni buone nella vita, che solo questi possono darti un futuro, addirittura “nelle dimore eterne”.

Vita eterna, casa eterna, sono termini che sulla bocca di Gesù non indicano tanto ciò che accadrà alla fine della vita, nel cielo o negli inferi, quanto quello che rende la vita vera, già da ora, qui tra noi, la vita così come dev’essere, l’autentico dell’umano.

 

Ed ecco il meraviglioso comandamento: fatevi degli amici. Perfino con la disonesta ricchezza. Le persone valgono più del denaro. Il bene è sempre bene, è comunque bene. L’elemosina anche fatta da un ladro, non cessa di essere elemosina.

l bene non è mai inutile.

Non è il male che revoca il bene che hai fatto. Accade il contrario: è il bene che revoca, annulla, abroga il male che hai commesso.

Nessuno può servire due padroni, Dio e la ricchezza. Il grande potere della ricchezza è quello di renderci atei. Il vero nemico, l’avversario di Dio nella Bibbia non è il diavolo, infatti Gesù libera la persona dai demoni che si sono installati in lui.

Il competitore di Dio non è neppure il peccato: Dio perdona e azzera i peccati.

Il vero concorrente di Dio, il Dio alternativo, è la ricchezza. La ricchezza è atea. Si conquista la fiducia, dona certezze, prende il cuore. Il ricco è malato di ateismo.

Non importa che frequenti la chiesa, è un aspetto di superficie che non modifica la sostanza.

Il suo Dio è in banca. E il suo cuore è lì, vicino al suo denaro.

La soluzione che Gesù offre è “fatevi degli amici”: saranno loro ad accogliervi, prima e meglio degli angeli.

Gli amici apriranno sempre la porta come se il cielo fosse casa loro, come se la chiavi dell’eternità per te le avessero trovate loro, quelli che tu, per un giorno o una vita, hai reso felici.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 37 - Evidenza

2022 – Echi di Vita N°37 – DIO E’ AMICO DI QUANTI GLI SONO NEMICI

Le tre parabole della misericordia sono davvero il Vangelo del Vangelo. Sale dal loro fondo un volto di Dio che è la più bella notizia che potevamo ricevere.

 

Gesù accoglieva i peccatori e mangiava con loro. E questo scandalizzava i farisei: Questi peccatori sono i nemici di Dio! E Gesù per tre volte a mostrare che Dio è amico di quanti gli sono nemici.

Pubblicani e prostitute sono lontani da Dio! Stai lontano da loro! E Gesù a raccontare che Dio è vicino a quanti si sono perduti lontano.

 

Scribi e sacerdoti si ribellano a questa idea di Dio. Loro pensano di conoscere, di circoscrivere i luoghi di Dio: Dio è nel tempio, nell’osservanza della legge, nei sacrifici, nella religione, nella penitenza.

Gesù abbatte tutti questi recinti: Dio è nella vita, là dove un figlio soffre e si perde, è nella paura della pecora smarrita, è accanto all’inutilità della moneta perduta, nella fame del figlio prodigo.

 

I farisei, i moralisti dicono: troverai Dio come risultato dei tuoi sforzi.

Gesù dice: sarà Dio a trovare te; non fuggire più, lasciati abbracciare, dovunque tu sia, e ci sarà gioia libertà e pienezza.

 

Le tre parabole, mettendo in scena perdita e ritrovamento, sottolineano la pena di Dio che cerca, ma molto di più la gioia quando trova. Ecco allora la passione del pastore, il suo inseguimento per steppe e pietraie.

 

La pecora perduta non torna da sé all’ovile; non è pentita, ma è a rischio della vita; non trova lei il pastore, ma è trovata; non è punita, ma caricata sulle spalle, perché sia più leggero il ritorno.

 

Un Dio pastore che è in cerca di noi molto più di quanto noi cerchiamo lui. Se anche noi lo perdiamo, lui non ci perde mai.

 

Un Dio ‘donna di casa’ che ha perso una moneta, madre in ansia che non ha figli da perdere, e se ne perde uno solo la sua casa è vuota; che accende la lampada e si mette a spazzare ogni angolo e troverà il suo tesoro, lo troverà sotto tutta la spazzatura raccolta nella casa.

 

E mostra come anche noi, sotto lo sporco e i graffi della vita, sotto difetti e peccati, possiamo scovare, in noi e negli altri, un piccolo grande tesoro anche se in vasi di creta, pagliuzze d’oro nella corrente e nel fango.

 

Tutte e tre le parabole terminano con un identico crescendo. L’ultima nota è una gioia, una contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra, che convoca amici e vicini.

 

 

Da che cosa nasce la felicità di Dio? Da un innamoramento! Questo perdersi e cercarsi, questo ritrovarsi e perdersi di nuovo, la nostra esperienza.

Dio gira di notte nella città e a tutti chiede una sola cosa: avete visto l’amato del mio cuore?

Sono io l’amato perduto. Dio è in cerca di me, notte e giorno.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 36

2022 – Echi di Vita N°36 – LA FELICITA’ CHE SOLO GESU’ PUO’ DARE

«Se uno viene a me, e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli…».

Le parole di Gesù bruciano, sono difficili, perfino pericolose se capite male, ma a capirle a fondo sono bellissime.

Sembrano una crocifissione e sono una risurrezione del cuore.

Il centro di queste frasi non sta in una serie di «no» detti alle cose belle e forti della vita, ma in un «» detto a una cosa più bella ancora, che Dio solo ha e nessun altro può dare.

L’accento delle frasi non è sulla rinuncia, ma sulla conquista. È come se Gesù dicesse: tu sai quanto è bello voler bene a padre, madre, moglie o marito, ai figli, quanto fa bene, quanto fa vivere.

Io ti offro un bene ancora più grande e bello, che non toglie niente, aggiunge forza, gioia, profondità.

Dice Gesù: io posso darti più di tutti gli affetti della famiglia…

Sembrano le parole di uno fuori dalla realtà, di un esaltato: «Io ho qualcosa di più bello delle esperienze più belle che puoi fare sulla terra, io solo posso farti rintracciare la felicità. Io solo».

Nessuno ha mai detto «Io» con questa forza e con questa pretesa.

«Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo»: «portare» è ben più di «sopportare»; «croce» non è la metafora di tutte le fatiche, le difficoltà e le sofferenze della vita; quella parola contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù.

«Portare la propria croce» è una espressione forte che non si riduce a un invito alla rassegnazione, saggio ma in fondo scontato.

Si tratta di una scelta attiva: scegli per te una vita che assomigli a quella di Gesù: pensa i suoi pensieri, ripeti le sue scelte, preferisci quelli che lui preferiva, vivi una vita come la sua, che sapeva amare come nessuno.

Prendi su di te la tua porzione d’amore altrimenti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non ami.

Allora capiamo che il cristiano non è figlio di una sottrazione, ma di una addizione, che Cristo è intensificazione dell’umano, che nominarlo equivale ad incrementare la vita.

Al centro di tutto sta un Assoluto che offre la sua luce sulla vita e sulla morte, che dona eternità a tutto ciò che di più bello portiamo nel cuore. Che non toglie amori, ne aggiunge. Il discepolo è uno che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande.

Questo Gesù non lo ami se non lo conosci, ma se arrivi a conoscerlo non lo lasci più.

 

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 35

2022 – Echi di Vita N°35 – VIVERE COME DIO, DARE SENZA AVERE…

Sarai beato! Perché la ricompensa al dono non è il contraccambio, ma la felicità dell’altro, e la vita che attorno a te risorge.

Con le parole di Gesù entriamo in un territorio inusuale, al di là dei diritti e dei doveri, al di là della legge un po’ gretta della reciprocità, verso una sorta di divina follia, verso semi di una nuova civiltà.

Che scopo ha invitare i più poveri dei poveri? Per noi, che siamo tutti prigionieri di una vita di scopi? Noi amiamo ‘per’, preghiamo ‘per’, compiamo opere buone ‘per’… ma motivare l’amore non è amare; avere una ragione per donare non è dono puro, avere una motivazione per pregare non è preghiera perfetta.

Quando offri un pranzo (ed è già cosa grande essere capaci di offrire), non invitare né amici, né fratelli, né parenti, né vicini ricchi: belli questi quattro gradini del cuore in festa, quattro segmenti del cerchio caldo degli affetti, della gioiosa geografia del cuore; non invitarli, perché poi anche loro ti inviteranno e il cerchio si chiude nell’eterna illusione del pareggio tra dare e avere, e allora è la storia che si chiude e si chiudono le brecce per ulteriore vita.

Quando offri un pranzo invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Ecco di nuovo quattro gradini, quelli che ti portano oltre il cerchio del sangue, oltre il piacere della reciprocità, aprono l’impensato e le brecce per una storia ulteriore. Invita questi strani commensali, e non perché tu ne hai bisogno (bisogno di amici, di gratitudine, di sentirti buono) ma perché loro ne hanno bisogno.

Sarà forse un pranzo un po’ triste per te? Ma per loro sarà un pranzo felice.

E tu sarai beato. Perché la gioia più grande è quella che da te defluisce e che riattingi, moltiplicata, dal volto dell’altro.

E sarai beato, perché agisci come agisce Dio, perché vivere è dare. La felicità ha a che fare con il dono e non può mai essere solitaria.

E sarai beato, perché c’è più felicità nel dare che nel ricevere. Questo è il divino vangelo, vangelo da Dio e non da uomini, che mette a soqquadro la logica del tornaconto, e tutta la storia non lo può contenere, e l’uomo intero non basta.

E mi dà gioia pensare che il Signore mi invita su queste strade un po’ folli, ma così libere, certo che nessun sistema sociale può contenere ed esaurire la forza giovane del Vangelo, che il Regno crescerà in ogni sistema come una falla di luce.

don Alfredo Di Stefano

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