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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 50

2019 – Echi di Vita N°50 – DIO CI CHIAMA AD APRIRCI ALLA GIOIA

Il Vangelo di Luca sviluppa il racconto dell’annuncio a Maria, presentandocela come una ragazza tra le tante, occupata nelle sue faccende e nei suoi pensieri.

   L’angelo Gabriele entrò da lei. È bello pensare che Dio ti sfiora, ti tocca nella tua vita quotidiana, nella tua casa.

   La prima parola dell’angelo non è un semplice saluto, dentro vibra quella cosa buona e rara che tutti, tutti i giorni, cerchiamo: la gioia. «chaire, rallegrati, gioisci, sii felice». Non chiede: prega, inginocchiati, fai questo o quello. Ma semplicemente: apriti alla gioia, come una porta si apre al sole. Dio si avvicina e ti stringe in un abbraccio, viene e porta una promessa di felicità.

La seconda parola dell’angelo svela il perché della gioia: sei piena di grazia, sei colmata, riempita di Dio, che si è chinato su di te, si è innamorato di te, si è dato a te e tu ne trabocchi.

Il suo nome è: amata per sempre. Teneramente, liberamente, senza rimpianti amata. Piena di grazia la chiama l’angelo, Immacolata la dice il popolo cristiano. Ed è la stessa cosa.

Non è piena di grazia perché ha detto “” a Dio, ma perché Dio ha detto “” a lei prima ancora della sua risposta. E lo dice a ciascuno di noi: ognuno è pieno di grazia, tutti amati come siamo, per quello che siamo; buoni e meno buoni, ognuno amato per sempre, piccoli o grandi, ognuno riempito di cielo.

La prima parola di Maria non è un sì, ma una domanda: come è possibile?

Sta davanti a Dio con tutta la sua dignità umana, con la sua maturità di donna, con il suo bisogno di capire. Usa l’intelligenza e poi pronuncia il suo sì, che allora ha la potenza di un sì libero e creativo.

Eccomi, come hanno detto profeti e patriarchi, sono la serva del Signore.

Serva è parola che non ha niente di passivo: serva del re è la prima dopo il re, colei che collabora, che crea insieme con il creatore.

La risposta di Maria è una realtà liberante, non una sottomissione remissiva.

È lei personalmente a scegliere, in autonomia, a pronunciare quel “” così coraggioso che la contrappone a tutto il suo mondo, che la proietta nei disegni grandiosi di Dio.

La storia di Maria è anche la mia e la tua storia.

Ancora l’angelo è inviato nella tua casa e ti dice: rallegrati, sei pieno di grazia!

Dio è dentro di te e ti colma la vita di vita.

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 49

2019 – Echi di Vita N°49 – NON ANNEGARE NELLA BANALITA’ DEI GIORNI

Avvento è il tempo che sta tra il gemito delle creature e la venuta di Signore. Tempo per guardare in alto e più lontano, per essere attenti a ciò che sta accadendo. Noi siamo così distratti, che non riusciamo a gustare i giorni e i mille doni. Per questo non siamo felici, perché siamo distratti.

I giorni di Noè: mangiavano e bevevano gli uomini in quei giorni, prendevano moglie e marito. Ma che facevano di male? Niente, erano solo impegnati a vivere. Ma a vivere senza mistero, in una quotidianità opaca: e non si accorsero di nulla. È possibile vivere così, senza sapere perché, senza accorgersi neppure di chi ti sfiora nella tua casa, di chi ti rivolge la parola. Non ci accorgiamo che questa affannosa ricerca di sempre più benessere sta generando un rischio di morte per l’intero pianeta. Un altro diluvio.

Il tempo dell’Avvento è un tempo per svegliarci, per accorgerci. Il tempo dell’attenzione. Attenzione è rendere profondo ogni momento.

Due uomini saranno nel campo, uno verrà portato via e uno lasciato. Non è dell’angelo della morte che parla il Vangelo, ma di due modi diversi di vivere nel campo della vita: uno vive in modo adulto, uno infantile; uno vive affacciandosi sull’infinito, uno è chiuso solo dentro la sua pelle; uno è chino solo sul suo piatto, uno è generoso con gli altri di pane e di amore. Tra questi due uno è pronto all’incontro con il Signore, quello che vive attento, l’altro non si accorge di nulla.

Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro. Mi ha sempre inquietato l’immagine del Signore che viene di soppiatto come un ladro nella notte. Dio non è un ladro di vita, e infatti non è la morte che viene adombrata in questa piccola parabola, ma l’incontro.

Il Signore è un ladro ben strano, non ruba niente, dona tutto, viene con le mani piene. Ma l’incontro con Lui è rapinoso, ti obbliga a fare il vuoto in te di cento cose inutili, altrimenti ciò che porta non ci sta. Mette a soqquadro la tua casa, ti cambia la vita, la fa ricca di volti, di luce, di o­rizzonti.

Io ho qualcosa di prezioso che attira il Signore, come la ricchezza attira il ladro: è la mia persona, il fiume della mia vita che mescola insieme fango e pagliuzze d’oro, questo nulla fragile e glorioso cui però Lui stesso ha donato un cuore.

Vieni pure come un ladro, Signore, prendi quello che è prezioso per te, questo povero cuore. Prendilo, e ridonamelo poi, pieno di amore.

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 48

2019 – Echi di Vita N°48 – REGALITA’ DI CRISTO, STORIA D’ AMORE

Luca ci guida a rintracciare il tesoro della regalità nel luogo più inadatto, nel piccolo spazio della croce. Il crocifisso è signore appena di quel poco di legno e di terra che basta per morire.

Ma quella croce è l’abisso dove Dio diviene l’amante: «Non c’è amore più grande che dare la propria vita…». I capi, i soldati, un malfattore chiedono a Gesù una dimostrazione di forza: «Salva te stesso!». Se accetta e scende dalla croce, Gesù si mostrerà “forte“, un vero “re” davanti agli uomini.

Invece un uomo gli chiede una dimostrazione di bontà: «Ricordati di me!». Gesù risponde e si mostra “buono“, vero “re” secondo il cuore di Dio.

Ma che cosa ha visto quell’uomo? Lo dice in una frase sola, di semplicità sublime: «Lui non ha fatto nulla di male».

In queste parole è racchiuso il segreto dell’autentica regalità: niente di male in quell’uomo, innocenza mai vista ancora, nessun seme di odio o di violenza. Aver percepito questo è bastato ad aprirgli il cuore: il malfattore intuisce in quel cuore pulito e buono il primo passo di una storia diversa, intravede un altro modo possibile di essere uomini, l’annuncio di un mondo di fraternità e di perdono, di giustizia e di pace. Ed è in questo regno che domanda di entrare: «Ricordati di me», prega il morente. «Sarai con me», risponde l’amante. «Ricordati di me», prega la paura.

«Sarai con me in un abbraccio», risponde il forte. «Solo ricordati, e mi basta», prega l’ultima vita. «Con me, oggi, in un paradiso di luce», risponde il datore di vita. «Venga il tuo regno – noi preghiamo – e sia più intenso delle lacrime, e sia più bello dei sogni di chi visse e morì nella notte per costruirlo».

Un regno che è di Dio, che è per l’uomo. Ed è come ripetere le parole del ladro pentito.

Pregare ogni giorno: «Venga il tuo regno», significa credere che il mondo cambierà; e non per i segni che riesco a scorgere dentro il groviglio sanguinoso e dolente della cronaca, ma perché Dio si è impegnato con la croce. Dire: «Venga il tuo Regno», è affermare che la speranza è più forte dell’evidenza, l’innocenza più forte del male, che il mondo appartiene non a chi lo possiede ma a chi lo rende migliore. Dire: «Venga il tuo regno», è invocare per noi un amore di una qualità simile a quello del Crocifisso che muore ostinatamente amando, preoccupandosi di chi gli muore accanto, dimenticandosi di sè.

Il regno di Dio verrà quando nascerà, nel cuore nuovo delle creature, l’ostinazione dell’amore, solo questo capovolgerà la nostra cronaca amara in storia finalmente sacra.

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 47 - Vincenra il male con la preserveranza

2019 – Echi di Vita N°47 – VINCERE IL MALE CON LA PERSEVERANZA

Con il suo linguaggio apocalittico il brano non racconta la fine del mondo, ma il significato, il mistero del mondo. Vangelo dell’oggi ma anche del domani, del domani che si prepara nell’oggi.

Se lo leggiamo attentamente, notiamo che ad ogni descrizione di dolore, segue un punto di rottura dove tutto cambia, un tornante che apre l’orizzonte, la breccia della speranza: non è la fine. Alzate il capo, la vostra liberazione è vicina.

Al di là di profeti ingannatori, anche se l’odio sarà dovunque, ecco quella espressione struggente: ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. I vostri capelli sono tutti contati, non abbiate paura.

Nel caos della storia lo sguardo del Signore è fisso su di me, non giudice che incombe, ma custode innamorato di ogni mio frammento.

Il vangelo ci conduce sul crinale della storia: da un lato il versante oscuro della violenza, il cuore di tenebra che distrugge; dall’altro il versante della tenerezza che salva. In questa lotta contro il male, contro la potenza mortifera e omicida presente nella storia e nella natura, “con la vostra perseveranza salverete la vostra vita“.

La vita -l’umano in noi e negli altri- si salva con la perseveranza. Non nel disimpegno, nel chiamarsi fuori, ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro che si prende cura della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle loro lacrime.

Perseveranza vuol dire: non mi arrendo. Nel mondo sembrano vincere i più violenti, i più crudeli, ma io non mi arrendo. Anche quando tutto il lottare contro il male sembra senza esito, io non mi arrendo. Perché so che il filo rosso della storia è saldo nelle mani di Dio. Perché il mondo quale lo conosciamo, col suo ordine fondato sulla forza e sulla violenza, già comincia a essere rovesciato dalle sue stesse logiche.

Il Vangelo si chiude con un’ultima riga, profezia di speranza: risollevatevi, alzate il capo, la vostra liberazione è vicina.

In piedi, a testa alta, liberi: così vede i discepoli il Vangelo. Sollevate il capo, guardate lontano e oltre, perché la realtà non è solo questo che si vede: viene un Liberatore, un Dio esperto di vita.

Sulla terra intera e sul piccolo campo dove io vivo si scaricano ogni giorno rovesci di violenza, cadono piogge corrosive di menzogna e corruzione. Che cosa posso fare? Usare la tattica del contadino. Rispondere alla grandine piantando nuovi frutteti, per ogni raccolto di oggi perduto impegnarmi a prepararne uno nuovo per domani.

Seminare, piantare, attendere, perseverare vegliando su ogni germoglio della vita che nasce.

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2019 – Echi di Vita N 46 – E’ L’AMORE CHE VINCE LA MORTE

2019 – Echi di Vita N°46 – E’ L’AMORE CHE VINCE LA MORTE

La storiella paradossale di una donna, sette volte vedova e mai madre, è adoperata dai Sadducei come caricatura della fede nella risurrezione dei morti: di quale dei sette fratelli che l’hanno sposata sarà moglie quella donna nella vita eterna? Per loro la sola eternità possibile sta nella generazione di figli, nella discendenza.

Gesù, come è solito fare quando lo si vuole imprigionare in questioni di corto respiro, rompe l’accerchiamento, dilata l’orizzonte, quelli che risorgono non prendono moglie né marito.

Gesù non dichiara la fine degli affetti. Quelli che risorgono non si sposano, ma danno e ricevono amore ancora, finalmente capaci di amare bene, per sempre. Perché amare è la pienezza dell’uomo e di Dio. Perché ciò che nel mondo è valore non sarà mai distrutto. Ogni amore vero si aggiungerà agli altri nostri amori, senza gelosie e senza esclusioni, portando non limiti o rimpianti, ma una impensata capacità di intensità e di profondità. Saranno come angeli.

Gesù adopera l’immagine degli angeli per indicare l’accesso ad una realtà di faccia a faccia con Dio, perché la risurrezione della carne rimane un tema cruciale della nostra fede.

La risurrezione non cancella il corpo, non cancella l’umanità, non cancella gli affetti. Dio non fa morire nulla dell’uomo. Lo trasforma. L’eternità non è durata, ma intensità; non è pallida ripetizione infinita, ma scoperta «di ciò che occhio non vide mai, né orecchio udì mai, né mai era entrato in cuore d’uomo…» (1Cor 2,9).

Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi.

In questo «di» ripetuto 5 volte è racchiuso il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell’eternità. Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e reciproco, e che significa: Dio appartiene a loro, loro appartengono di Dio. Così totale è il legame, che il Signore fa sì che il nome di quanti ama diventi parte del suo stesso nome. Il Dio più forte della morte è così umile da ritenere i suoi amici parte integrante di sé. Legando la sua eternità alla nostra, mostra che ciò che vince la morte non è la vita, ma l’amore. Il Dio di Isacco, di Abramo, di Giacobbe, il Dio che è mio e tuo, vive solo se Isacco e Abramo sono vivi, solo se tu e io vivremo. La nostra risurrezione soltanto farà di Dio il Padre per sempre.

don Alfredo Di Stefano

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2019 – Echi di Vita N 45 – INCONTRARE GESU’ RENDE LIBERO L’UOMO

2019 – Echi di Vita N°45 – INCONTRARE GESU’ RENDE LIBERO L’UOMO

C’è un Rabbi che riempie di gente le strade. Tanta gente, al punto che Zacchéo, piccolo di statura, ha davanti a sé un muro. Ma questo piccolo-ricco uomo non ha complessi, ha un obiettivo: vuole vedere Gesù, di parlargli non spera, e invece di nascondersi dietro l’alibi dei suoi limiti, cerca la soluzione: l’albero.

Zacchéo agisce in nome non della paura ma del desiderio, e così diventa creativo, inventa, va’ controcorrente, respira un’energia che lo fa correre avanti e salire in alto.

Lo sguardo di Gesù: il solo sguardo che non giudica, non condanna, non umilia, e perciò libera; che va diritto al cuore e interpella la parte migliore di ciascuno, quel frammento puro che nessun peccato arriverà mai a cancellare. Zacchéo vuol dire «Dio si ricorda». Ma non del tuo peccato, bensì del tuo tesoro si ricorda.

Zacchéo cerca di vedere Gesù e scopre che Gesù cerca di vedere lui. Il cercatore si accorge di essere cercato, l’amante scopre di essere amato: Zacchéo, scendi, oggi devo fermarmi a casa tua.

«Devo» dice Gesù, devo fermarmi! Dio deve cercarmi, deve farlo per un suo intimo bisogno: a Dio manca qualcosa, manca Zacchéo, manco io. Se Gesù avesse detto: Zacchéo, io ti conosco bene, so che sei un ladro, se restituisci ciò che hai rubato verrò a casa tua. Credetemi: Zacchéo sarebbe rimasto sull’albero.

Zacchéo prima incontra, poi si converte: incontrare uno come Gesù fa credere nell’uomo; incontrare un uomo così rende liberi; incontrare questo amore fa amare; incontrare un Dio che non fa prediche e non condanna ma che si fa amico moltiplica l’amicizia.

Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Poche parole: fretta, accogliere, gioia, che dicono sulla conversione più di tanti trattati. Apro la casa del cuore a Dio, con fiducia, e la gioia e la vita si rimettono in moto.

Infatti vediamo la casa di Zacchéo riempirsi di amici, il ricco diventare amico dei poveri: «Metà di tutto ciò che ho è per loro». Come se i poveri fossero la metà di se stesso.

Oggi a casa tua. Dio alla portata di ognuno. Dio nella casa: alla mia tavola, come un familiare, intimo come una persona cara. Perché Gerico è su ogni strada del mondo: per ogni piccolo c’è un albero, per ognuno uno sguardo.

don Alfredo Di Stefano

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2019 – Echi di Vita N 44 – QUANDO METTIAMO IO AL POSTO DI DIO

2019 – Echi di Vita N°44 – QUANDO METTIAMO “IO” AL POSTO DI “DIO”

Una parabola “di battaglia”, in cui Gesù ha l’audacia di denunciare che pregare può essere pericoloso, può perfino separarci da Dio, renderci “atei”, adoratori di un idolo.

Il fariseo prega, ma come rivolto a se stesso, dice letteralmente il testo; conosce le regole, inizia con le parole giuste «o Dio, ti ringrazio», ma poi sbaglia tutto, non benedice Dio per le sue opere, ma si vanta delle proprie: io prego, io digiuno, io pago, io sono un giusto.

Per l’anima bella del fariseo, Dio in fondo non fa niente se non un lavoro da burocrate, da notaio: registra, prende nota e approva. Un muto specchio su cui far rimbalzare la propria arroganza spirituale. Io non sono come gli altri, tutti ladri, corrotti, adulteri, e neppure come questo pubblicano, io sono molto meglio. Offende il mondo nel mentre stesso che crede di pregare.

Non si può pregare e disprezzare, benedire il Padre e maledire, dire male dei suoi figli, lodare Dio e accusare i fratelli. Quella preghiera ci farebbe tornare a casa con un peccato in più, anzi confermati e legittimati nel nostro cuore e occhio malati.

Invece il pubblicano, grumo di umanità curva in fondo al tempio, fermatosi a distanza, si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Una piccola parola cambia tutto e rende vera la preghiera del pubblicano: «tu», «Signore, tu abbi pietà».

La parabola ci mostra la grammatica della preghiera. Le regole sono semplici e valgono per tutti. Sono le regole della vita.

La prima: se metti al centro l’io, nessuna relazione funziona. Non nella coppia, non con i figli o con gli amici, tantomeno con Dio. Il nostro vivere e il nostro pregare avanzano sulla stessa strada profonda: la ricerca mai arresa di qualcuno (un amore, un sogno o un Dio) così importante che il tu viene prima dell’io.

La seconda regola: si prega non per ricevere ma per essere trasformati. Il fariseo non vuole cambiare, non ne ha bisogno, lui è tutto a posto, sono gli altri sbagliati, e forse un po’ anche Dio. Il pubblicano invece non è contento della sua vita, e spera e vorrebbe riuscire a cambiarla, magari domani, magari solo un pochino alla volta. E diventa supplica con tutto se stesso, mettendo in campo corpo cuore mani e voce: batte le mani sul cuore e ne fa uscire parole di supplica verso il Dio del cielo.

Il pubblicano tornò a casa perdonato, non perché più onesto o più umile del fariseo, ma perché si apre a Dio che entra in lui, con la sua misericordia: questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza.

don Alfredo Di Stefano

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2019 – Echi di Vita N 43 – LA PREGHIERA DELLA VEDOVA CHE NON SI ARRENDE

2019 – Echi di Vita N°43 – LA PREGHIERA DELLA VEDOVA CHE NON SI ARRENDE

Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre.

E a noi pare un obiettivo impossibile da raggiungere. Ma il pregare sempre non va confuso con il recitare preghiere senza interruzione. Gesù stesso l’ha detto: quando pregate non moltiplicate parole. Perché pregare è come voler bene. Infatti c’è sempre tempo per voler bene: se ami qualcuno, lo ami sempre.

 

Il Vangelo ci porta a scuola di preghiera da una vedova, una bella figura di donna, forte e dignitosa, che non si arrende, fragile e indomita al tempo stesso. Ha subito ingiustizia e non abbassa la testa. C’era un giudice corrotto. E una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario!

 

Gesù lungo tutto il Vangelo ha una predilezione particolare per le donne sole, perché rappresentano l’intera categoria biblica dei senza difesa, vedove orfani forestieri, i difesi da Dio.

Una donna che non si lascia schiacciare ci rivela che la preghiera è un “no” gridato al “così vanno le cose“, è come il primo vagito di una storia nuova che nasce.

 

Perché pregare? È come chiedere: perché respirare? Per vivere.

La preghiera è il respiro della fede. Come un canale aperto in cui scorre l’ossigeno dell’infinito, un riattaccare continuamente la terra al cielo. Come per due che si amano, il respiro del loro amore.

Forse tutti ci siamo qualche volta stancati di pregare. E ci siamo chiesti: ma Dio esaudisce le nostre preghiere, si o no?

La risposta di un grande credente, il martire Bonhoeffer è questa: «Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse».

E il Vangelo ne è pieno: non vi lascerò orfani, sarò con voi, tutti i giorni, fino alla fine del tempo. Non si prega per cambiare la volontà di Dio, ma il cuore dell’uomo. Non si prega per ottenere, ma per essere trasformati.

 

Contemplare, trasforma. Uno diventa ciò che contempla con gli occhi del cuore. Uno diventa ciò che prega. Uno diventa ciò che ama.

Ottenere Dio da Dio, questo è il primo miracolo della preghiera.

E sentire il suo respiro intrecciato per sempre con il mio respiro.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2019 N 42

2019 – Echi di Vita N°42 – DIO CI OFFRE NON SOLO GUARIGIONE, MA SALVEZZA

Dieci lebbrosi che la sofferenza ha riunito insieme, che si appoggiano l’uno all’altro.

Appena Gesù li vide… Notiamo il dettaglio: appena li vide, subito, spinto dalla fretta di chi vuole bene, disse loro: andate dai sacerdoti e mostrate loro che siete guariti!

I dieci si mettono in cammino e sono ancora malati; la pelle ancora germoglia piaghe, eppure partono dietro a un atto di fede, per un anticipo di fiducia concesso a Dio e al proprio domani.

I dieci lebbrosi credono nella salute prima di vederla, hanno la fede dei profeti che amano la parola di Dio più ancora della sua attuazione, che credono nella parola di Dio prima e più che alla sua realizzazione. E mentre andavano, furono guariti. Lungo il cammino, un passo dopo l’altro la salute si fa strada in loro. Accade sempre così: il futuro entra in noi con il primo passo, inizia molto prima che accada. E furono guariti.

Il Vangelo è pieno di guariti, sono il corteo gioioso che accompagna l’annuncio di Gesù: Dio è qui, è con noi, coinvolto nelle piaghe dei dieci lebbrosi e nello stupore dell’unico che ritorna cantando. E al quale Gesù dice: la tua fede ti ha salvato!

Anche gli altri nove che non tornano hanno avuto fede nelle parole di Gesù. Dove sta la differenza? Il samaritano salvato ha qualcosa in più dei nove guariti. Non si accontenta del dono, lui cerca il Donatore, ha intuito che il segreto della vita non sta nella guarigione, ma nel Guaritore, nell’incontro con lo stupore di un Dio che ha i piedi nel fango delle nostre strade, e gli occhi sulle nostre piaghe. Nessuno si è trovato che tornasse a rendere gloria a Dio? E chi è più vivente di questo piccolo uomo di Samaria? Lui, il doppiamente escluso, che torna guarito, gridando di gioia?

Non gli basta tornare dai suoi, alla sua famiglia, travolto da questa inattesa piena di vita, vuole tornare alla fonte da cui è sgorgata. Altro è essere guariti, altro essere salvati.

Nella guarigione si chiudono le piaghe, ma nella salvezza si apre la sorgente, entri in Dio e Dio entra in te, come pienezza. I nove guariti trovano la salute; l’unico salvato trova il Dio che dona pelle di primavera ai lebbrosi, che fa fiorire la vita in tutte le sue forme, e la cui gloria è l’uomo vivente, l’uomo finalmente promosso a uomo.

don Alfredo Di Stefano

 

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2019 N 41

2019 – Echi di Vita N°41 – LA FEDE, UN NIENTE CHE PUO’ TUTTO

Gesù ha appena avanzato la sua proposta, unica misura del perdono è perdonare senza misura, che agli Apostoli appare un obiettivo inarrivabile, al di là delle loro forze, e sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede. Da soli non ce la faremo mai.

Gesù però non esaudisce la richiesta, perché non tocca a Dio aggiungere, accrescere, aumentare la fede, non può farlo: essa è la libera risposta dell’uomo al corteggiamento di Dio.

 

Gesù cambia la prospettiva da cui guardare la fede, introducendo come unità di misura il granello di senape, proverbialmente il più piccolo di tutti i semi: non si tratta di quantità, ma di qualità della fede.

Fede come granello, come briciola; non quella sicura e spavalda ma quella che, nella sua fragilità, ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria piccolezza ha ancora più fiducia nella sua forza.

Allora ne basta un granello, poca, anzi meno di poca, per ottenere risultati impensabili.

La fede è un niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di sradicare alberi e la leggerezza di farli volare sul mare: se aveste fede come un granello di senape, potrete dire a questo gelso sradicati.

Segue poi una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, che inizia come una fotografia della realtà: Chi di voi, se ha un servo ad arare, gli dirà, quando rientra: Vieni e mettiti a tavola? E che termina con una proposta spiazzante, nello stile tipico del Signore: Quando avete fatto tutto dite: siamo servi inutili. Capiamo bene: servo inutile significa non determinante, non decisivo; indica che la forza che fa crescere il seme non appartiene al seminatore; che la forza che converte non sta nel predicatore, ma nella Parola. Noi siamo i flauti, ma il soffio è del Signore.

Allora capisco che chiedere «accresci la mia fede» significa domandare che questa forza vivi­ficante entri come linfa nelle vene del cuore.

Servo inutile è colui che, in una società che pensa solo all’utile, scommette sulla gratuità, sen­za cercare il proprio vantaggio, senza vantare meriti.

La sua gioia è servire la vita, custodendo con tenerezza coloro che gli sono affidati.

don Alfredo Di Stefano

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