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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 029 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°29 – PAZIENZA, OPERAI DEL REGNO

Il cuore della parabola di oggi è molto semplice: nella nostra vita il bene e il male crescono insieme in un intreccio che l’uomo non deve districare, lasciando a Dio di compiere tale opera nella pienezza dei tempi. Ci sconcerta l’agire di Dio.

Dio invita ad aspettare, a pazientare. E ne spiega la ragione: strappando anzitempo la zizzania, molto simile al grano all’inizio della sua crescita, si potrebbe erroneamente strappare qualche spiga. Dal nostro punto di vista è un danno collaterale: cosa volete che sia qualche spiga al cospetto dell’intero raccolto salvato?

Il punto di vista di Dio, al solito, è diverso. La soluzione c’è: pazientare per vedere il frutto, per poterlo distinguere. E, a questo punto, intervenire tagliando entrambi, grano e zizzania e separandoli. L’uno nel fuoco, l’altro nel granaio.

 

Il padrone non nega la necessità della separazione. Dice solo che non è ancora il tempo e che non spetta agli uomini decidere quando sia il momento. La pazienza è necessaria perché noi uomini non siamo in grado di compiere la cernita. E perché è Dio ad avere stabilito l’ora della separazione, non noi.

Noi non siamo in grado di operare correttamente la cernita, non scherziamo. Grossolani come siamo, e anche un po’ autoreferenziali, noi uomini corriamo il rischio di giudicare gli altri dal nostro punto di vista, anche appellandoci a convinzioni profonde.

 

Nella Storia noi cristiani abbiamo compiuto degli abomini, facendo l’esatto contrario di ciò che insegnava il vangelo… appellandoci al vangelo!

Ci vogliono, invece, un po’ di buon senso e di sana prudenza, al fine di moderare lo zelo della distruzione e della soluzione finale che tutti portiamo nel cuore.

È Dio ad avere stabilito l’ora della separazione. E ne intuiamo le ragioni: solo dal frutto riusciamo a cogliere la bontà della pianta. Se una spiga è buon grano o zizzania lo capiamo solo quando vediamo il frutto gonfiare lo stelo.

 

L’apparenza inganna, e Dio lo sa bene. Persone che sembrano lontane da Dio, travolte dall’ombra, impestate, possono cambiare, convertirsi, fare buon frutto. Perciò i cristiani, inguaribili ottimisti, cocciuti nella speranza, pensano sempre che una persona possa cambiare in meglio. E come tali dovrebbero agire.

Gesù chiede di pazientare perché sa bene che il cuore dell’uomo può cambiare.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 028 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°28 – COS’E’ IL CROCIFISSO PER NOI?

Anche quest’anno, benché in tempo di pandemia, siamo davanti al SS. Crocifisso, venerato da secoli come cimelio prezioso di fede, “eredità bella” trasmessa dai vostri padri.

Cos’è il Crocifisso per noi?

La Chiesa già nei primi secoli, nell’adorare Cristo e l’Eucaristia, ha adorato la croce esprimendosi con termini di assoluta chiarezza e commozione: O Croce, unica speranza, sorgente di vita immortale, accresci ai fedeli la grazia, ottieni alle genti la pace”.

Siamo chiamati a vivere la croce del Signore ogni giorno nel contesto della nostra vita, fatta di sacrifici, sconfitte, momenti di scoraggiamento, da vivere con la certezza lieta che, attraverso il sacrificio, matura in noi la resurrezione del Signore.

Mostrare il Crocifisso esprime la volontà e il desiderio di evangelizzare, oggi, il nostro territorio.

Passare con il Crocifisso per le strade esprime il nostro sentimento di compassione verso le persone malate e sole, verso i cristiani perseguitati e crocifissi come Gesù, verso le persone che a causa della pandemia si trovano nella precarietà, nella disoccupazione, nella minaccia di essere licenziati, verso gli immigrati, verso i carcerati, verso coloro che vivono senza fede e senza speranza.

La festa del Crocifisso generi un grande movimento di evangelizzazione, un grande movimento di compassione, un grande movimento di umanizzazione della vita del nostro territorio. Renda la nostra città più capace di comprensione, più capace di accoglienza, più capace di perdono.

Il Crocifisso può forse essere strappato dalle mura delle nostre scuole o degli edifici pubblici, ma non dal nostro cuore.

Fissando lo sguardo a Lui e pensando alle nostre croci e ai nostri peccati, invochiamo da Cristo Crocifisso la grazia della conversione, del pentimento, del proposito di vivere una vita nuova.

Fare festa intorno al Crocifisso vuol dire “esaltare” e mettere in evidenza lo stile di vita di Cristo, fatto di amore vissuto fino allo stremo delle forze.

Preghiamo il Signore, pastore e custode delle nostre anime, perché, nel coraggio della testimonianza quotidiana, proclamando il Crocifisso con la nostra vita e la nostra fede, con la nostra speranza e  la nostra carità, possiamo aiutare noi e il nostro territorio ad uscire da questo momento ancora difficile.

Don Alfredo Di Stefano

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 027 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°27 – E’ GUARDANDO I PICCOLI CHE S’IMPARA L’ARTE DI BENEDIRE

Ti benedico o Padre perché hai rivelato queste cose ai piccoli

Il Battista è in carcere, in Galilea crescono rifiuto e ostilità, i miracoli di Cafarnao e di Betsaida non servono, eppure, nel pieno della crisi, Gesù benedice il Padre, fermandosi improvvisamente come incantato davanti ai suoi, ai piccoli. I piccoli sono coloro che ce la fanno a vivere solo se qualcuno si prende cura di loro, come i bambini.

 

Dio è vicino a ciò che è piccolo, ama ciò che è spezzato Quando gli uomini dicono: “perduto“, egli dice: “trovato“: quando dicono: “condannato“, egli dice: “salvato“; quando dicono: “abbietto“, Dio esclama: “beato!”.

 

Per entrare nel mistero di Dio vale più un’ora passata ad addossarsi la sofferenza e il mondo di uno di questi piccoli, che anni di studi di discussione.

Per conoscere il mistero delle persone e la fiamma delle cose, bisogna accostarle come piccoli, con stupore, con mani che non prendono, ma solo accarezzano.

Per imparare a benedire di nuovo il mondo e le persone, bisogna imparare a guardare i piccoli, la gente da poco, il loro cuore vero, e lì troveremo innumerevoli motivi per benedire, ragioni grandi perché il lamento non prevalga più sullo stupore.

 

Gesù parla di cose rivelate, eppure ciò che è offerto alla fine del brano è tutt’altro rispetto al conoscere delle cose su Dio. C’è offerta l’unica cosa che conta davvero, l’unica che manca, e non è la virtù, non l’intelligenza o la sapienza; l’unica cosa che il cuore cerca, l’unica che Gesù non insegna, ma riversa su chi gli è vicino: imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete riposo per le vostre anime.

 

Gesù non viene con obblighi e divieti, viene recando una coppa colma di pace; non porta precetti nuovi, ma una promessa: il regno è iniziato ed è pace e gioia nello Spirito. E attraverso il riposo e la pace del nostro cuore in migliaia attorno a noi saranno salvati, troveranno ristoro. Ristoro dell’esistenza è un amore umile, un cuore in pace, senza violenza e senza presunzione.

 

Imparate dal mio cuore… 

Cristo si impara imparandone il cuore, il modo di amare: l’amore infatti non è un maestro fra gli altri maestri, è il maestro della vita. Inizia il discepolato del cuore, per noi, sapienti e intelligenti, che corriamo il rischio di restare analfabeti del cuore: perché Dio non è un concetto, ma il cuore dolce della vita, e il Vangelo è la pienezza dell’umano.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 026 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°26 – LA LEGGE DELL’ AMORE IN UN BICCHIERE D’ ACQUA

Un Dio che pretende di essere amato più di padre e madre, più di figli e fratelli, che sembra andare contro le leggi del cuore. Non è degno di me. Per tre volte rimbalza dalla pagina questa affermazione dura del Vangelo. Ma chi è degno del Signore? Nessuno, perché il suo è amore incondizionato, amore che anticipa, senza clausole. Un amore così non si merita, si accoglie.

 

Chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà! Perdere la vita per causa mia non significa affrontare il martirio. Una vita si perde come si spende un tesoro: investendola, spendendola per una causa grande. Il vero dramma per ogni persona umana è non avere niente, non avere nessuno per cui valga la pena mettere in gioco o spendere la propria vita.

Chi avrà perduto, troverà. Noi possediamo veramente solo ciò che abbiamo donato ad altri, come la donna di Sunem della Prima Lettura, che dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada e riceverà in cambio una vita intera, un figlio. E la capacità di amare di più.

 

A noi, forse spaventati dalle esigenze di Cristo, dall’impegno di dare la vita, di avere una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: Chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca, non perderà la sua ricompensa.

Il dare tutta la vita o anche solo una piccola cosa, la croce e il bicchiere d’acqua sono i due estremi di uno stesso movimento: dare qualcosa, un po’, tutto, perché nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con il verbo dare.

Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio. Non c’è amore più grande che dare la vita!

Un bicchiere d’acqua, dice Gesù, un gesto così piccolo che anche l’ultimo di noi, anche il più povero può permettersi. E tuttavia un gesto non banale, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo che Gesù aggiunge, così evangelico e fragrante: acqua fresca.

Acqua fresca deve essere, vale a dire l’acqua buona per la grande calura, l’acqua attenta alla sete dell’altro, procurata con cura, l’acqua migliore che hai, quasi un’acqua affettuosa con dentro l’eco del cuore.

Dare la vita, dare un bicchiere d’acqua fresca, ecco la stupenda pedagogia di Cristo. Un bicchiere d’acqua fresca, se dato con tutto il cuore, ha dentro la Croce.

Tutto il Vangelo è nella Croce, ma tutto il Vangelo è anche in un bicchiere d’acqua. Nulla è troppo piccolo per il Signore, perché ogni gesto compiuto con tutto il cuore ci avvicina all’assoluto di Dio.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 025 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°25 – QUELLA TENEREZZA DEL PADRE CHE INCORAGGIA LA SPERANZA

Voi valete più di molti passeri! La tenerezza di un Dio che si prende cura dei passeri, che tiene conto delle mie cose più fragili ed effimere: mi conta i capelli in capo. Sono un passero che ha il nido nelle mani di Dio, eppure ho paura, perché i passeri continuano a cadere a terra, continuano a morire bambini a migliaia, venduti per poco più di due denari.

 

Lui lo sa e ripete per tre volte: Non temete, non abbiate paura, non abbiate timore. Neppure un passero cade a terra senza che Dio lo voglia. Ma allora è Dio che spezza il volo? È Lui che vuole la morte? No.

Nulla accade nell’assenza di Dio; invece molte, troppe cose accadono contro il volere del Padre. E allora il dramma non è solo nostro, esso è anche di Dio. Che è presente, partecipa, si china su di me, intreccia la sua speranza con la mia, il suo respiro con il mio, la sua parola con la mia, Dio non si colloca tra salute e malattia, ma tra disperazione e fiducia.

 

Dio sta nel riflesso più profondo delle lacrime, per moltiplicare il coraggio. Non uccide gli uccisori di corpi, dice che qualcosa vale più del corpo.

Non placa le tempeste, dona energia per continuare a remare dentro qualsiasi tempesta. E noi proseguiamo nella vita per il miracolo di una speranza che non si arrende, di cuori che non disarmano.

Verranno notti e reti di cacciatori, verrà anche la morte, ma: nulla ci potrà separare dall’amore di Dio, né spada, né morte, né angeli, né demoni (Rom 8,39).

Sì, è vero i passeri e i capelli contati hanno da attraversare la morte. Ma nulla andrà perduto. Gesù ci insegna a proclamare il diritto a che mi sia restituito fino all’ultimo capello di quel corpo che ha sofferto e testimoniato che la vita appartiene solo a Dio.

 

Temete piuttosto chi ha il potere di far morire l’anima. L’anima può morire! Mortali sono la superficialità, l’indifferenza, l’ipocrisia, quando disanimi gli altri attorno a te, togli anima e coraggio e innocenza, deridi gli ideali e gli innamorati.

È il disamore che fa morire. Di un peccatore si può fare un santo, ma di coloro che non sono niente, né cristiani, né pagani, né appassionati né freddi, né santi né peccatori, di loro, le anime morte, che cosa ne faremo?

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 024 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°24 – GESU’ PANE VIVO PER IL MONDO

Io sono il pane vivo: Gesù è stato geniale a scegliere il simbolo del pane.

Il pane è una realtà santa perché fa vi­vere, e che l’uomo viva è la prima legge di Dio e nostra. Il pane mostra come la vita dell’uomo è indissolubilmente legata ad un po’ di materia, dipende sempre da un poco di pane, di acqua, di aria, cose semplici che confinano con il mistero.

Le cose semplici sono le più divine: que­sto è proprio il genio del cristianesimo. In esso Dio e uomo non si oppongono più, materia e spirito si abbracciano e sconfinano l’uno nell’altro. È come se il movimento dell’incarnazione continuasse ogni giorno. Non dobbiamo disprezzare mai la terra, la materialità, perché in esse scende una vocazione divina: assicurare la vita, il dono più prezioso di Dio.

Se uno mangia di questo pane vivrà in e­terno. Una parola scorre sotto tutte le parole di Gesù nel Vangelo di oggi, e forma la nervatura del suo discorso: la parola «vita». Che hai a che fare con me, o Pane di Cristo? La risposta è una pretesa perfino eccessiva, perfino sconcertante, e tanto semplice: «Io ti faccio vivere».

Gesù è nella vita datore di vita, come lo è il pane. Il convincimento assoluto di Gesù è quello di poter offrire qualcosa che noi prima non avevamo: un incremento, un accrescimento, una intensificazione di vita per tutti coloro che fanno di lui il loro pane quotidiano.

Cristo diventa mio pane quando prendo la sua vita buona bella e beata, come misura, energia, seme, lievito della mia umanità.

Mangiare e bere la vita di Cristo è un evento che non si limita alle celebrazioni liturgiche, ma che si moltiplica dentro il vivere quotidiano, si dissemina sul grande altare del pianeta, nella «messa sul mondo».

Io mangio e bevo la vita di Cristo quando cerco di assimilare il nocciolo vivo e appassionato della sua esistenza, quando mi prendo cura con tenerezza di me stesso, degli altri e del creato. Quando cerco di fare mio il segreto di Cristo, allora trovo il segreto della vita.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.

La parola determinante: io in lui, lui in me. Questa è tutta la ricchezza del mistero. La ricchezza del mistero della fede è di una semplicità abbagliante: Cristo che vive in me, io che vivo in Lui.

Evento d’Incarnazione che continua: il Verbo di Dio che ha preso carne nel grembo di Maria, continua ostinato e infaticabi­e a incarnarsi in noi, ci fa tutti gravidi di Vangelo. Dio in me: il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola, un’unica vocazione: diventare, nella vita, pezzo di pane buono per tutti.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 023 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°23 – LA TRINITA’: UN LEGAME, UN ABBRACCIO DI COMUNIONE

Noi che siamo lenti a credere, ci vorrà forse tutta la vita non per capire, ma solo per assaporare un poco della fede, come potremo cogliere qualcosa della Trinità?

Una strada c’è, e non è quella delle formule e dei concetti. Pensare di capire la Trinità attraverso le formule è come tentare di capire una parola analizzando l’inchiostro con cui è scritta. Dio non è una definizione ma un’esperienza.

La Trinità non è un concetto da capire, ma una manifestazione da accogliere. In uno dei capolavori di Kieslowski sui Dieci Comandamenti, Decalogo I, il bambino protagonista sta giocando al computer. Improvvisamente si ferma e chiede alla zia: «Com’è Dio?». La zia lo guarda in silenzio, gli si avvicina, lo abbraccia, gli bacia i capelli e tenendolo stretto a sé sussurra: «Come ti senti, ora?». Pavel non vuole sciogliersi dall’abbraccio, alza gli occhi e risponde: «Bene, mi sento bene». E la zia: «Ecco, Pavel, Dio è così».

Dio come un abbraccio. Se non c’è amore, non vale nessun magistero. Se non c’è amore, nessuna cattedra sa dire Dio.

Dio come un abbraccio: è il senso della Trinità. Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione. L’oceano della sua essenza vibra di un infinito movimento d’amore.

Se il nostro Dio non fosse Trinità, vale a dire incontro, relazione, comunione e dono reciproco, sarebbe un Dio da delusione, assente e distratto.

Dio è estasi, cioè un uscire-da-sé in cerca di oggetti d’amore, in cerca di un popolo anche se di dura cervice, del quale farsi compagno di viaggio e ristoro entro l’arsura estrema del deserto.

Dio ha tanto amato il mondo, da mandare suo Figlio… E mondo e uomo sono storia della Trinità. Mosè, il grande amico di Dio, prega così: «Che il Signore cammini in mezzo a noi, venga in mezzo alla sua gente. Non resti sul monte, guida alta e lontana, ma scenda e si perda in mezzo al calpestio del popolo».

Tutta la sacra Scrittura ci assicura che nel calpestio del popolo, nella polvere dei sentieri, lo Spirito accende profeti ed orizzonti, il Padre rallenta il suo passo sul ritmo del nostro, il Figlio è salvezza che ci cammina a fianco. E questo ci sarebbe bastato. Invece l’Ascensione ha portato la nostra natura nel seno stesso della Trinità, quell’uomo già creato ad immagine non di Dio, ma della Trinità, l’uomo pensato come un abbraccio.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 022 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°22 – LO SPIRITO, VERO CUORE DEL MONDO

Lo Spirito: misterioso cuore del mondo, vento sugli abissi, fuoco del roveto, Amore in ogni amore.

Lo Spirito: estasi di Dio, effusione ardente, in noi, della sua vita d’amore. Senza lo Spirito il cristianesimo non è che arida dottrina, la Chiesa si riduce a organizza­zione e codice, la morale a fatica sovente incomprensibile, la croce a follia. Cristo rimane un evento del passato.

Oggi la Parola esplora strade diverse, prova altri colori, accumula immagini per dirci l’unica cosa indicibile: lo Spirito Santo, respiro di Dio dentro ogni cosa e ogni figlio. Per dire l’umiltà dello Spirito Santo, che non ha neppure un nome proprio, perché tutto Dio è Spirito, tutto Dio è Santo; che non sappiamo immaginare se non per simboli, che gli conservino libertà, la libertà del vento, cui nessuno comanda, che fascia le formule e forma le parole, ma poi passa oltre. Sempre oltre è la sua dimora.

Infatti viene lo Spirito, dice il Vangelo, la sera di Pasqua, leggero e quieto come un respiro, come la pace: «alitò su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo».

Viene lo Spirito, nel racconto degli Atti, cinquanta giorni dopo, come energia, coraggio, missione, vento che spalanca le porte e parola di fuoco.

Viene lo Spirito, nell’esperienza di Paolo, come bellezza, talento, carisma diverso per ogni credente.

Viene, nel salmo responsoriale, eternamente: dall’origine e per sempre, in tutti i solchi dell’esistenza, lo Spirito genera vita, là dove pareva impossibile, quando ti sentivi finito e il tronco dell’esistenza non metteva più gemme, quando la storia attorno sembrava un ventre invecchiato e sterile.

Com’è possibile che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Questo accade ancora, dentro e fuori le chiese, perché lo Spirito si rivolge a ciascuno, direttamente al cuore di ogni uomo, e in ciascuno consolida la certezza più umana che abbiamo, e che tutti ci compone in unità: l’aspirazione alla pace, alla gioia, all’amore, alla vita.

Lo Spirito conferma ciò che a tutti è caro, e cara a ciascuno diviene la sua parola. Ma quanta fatica per uscire dal Cenacolo! Eppure lo Spirito si ripropone, umile e risoluto, più forte della nostra fatica, vento che indica la strada, riempie le vele, disperde le ceneri della morte e diffonde ovunque i pollini della primavera.

Lo Spirito ci faccia ritornare in chiesa per una più autentica visione della fede, non solo sincera ma matura, e della liturgia, ci spinga a ripensare la pastorale  e ad accelerare il rinnovamento conciliare della Chiesa.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 021 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°21 – ASCENSIONE, FESTA DELLA FIDUCIA

Il termine «forza» lega insieme le tre letture: «Avrete forza dallo Spirito Santo» (prima lettura); «Possiate cogliere l’efficacia della sua forza» (seconda lettura); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Vangelo).

 

Forza per vivere, energia per andare e ancora andare, potenza per nuove nascite: la mia vita dipende da una fonte che non viene mai meno; la mia esistenza è attraversata da una forza più grande di me, che non si esaurirà mai e che fa la vita più forte delle sue ferite.

È il flusso di vita di Cristo, che viene come forza ascensionale verso più luminosa vita, che mi fa crescere a più libertà, a più consapevolezza, a più amore, fonte di nuove nascite per altri.

 

L’Ascensione è una festa difficile: come si può far festa per uno che se ne va?

Il Signore non è andato in una zona lontana del cosmo, ma nel profondo, non oltre le nubi, ma oltre le forme: se prima era insieme con i discepoli, ora sarà dentro di loro. Sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo.

Il mio cristianesimo è la certezza forte e inebriante che in tutti i giorni, in tutte le cose Cristo è presente, forza di ascensione del cosmo.

 

Ascensione non è un percorso cosmico geografico, ma è la navigazione spaziale del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all’amore che abbraccia l’universo.

Gesù lascia sulla terra il quasi niente: un gruppetto di uomini impauriti e confusi, che dubitano ancora, sottolinea Matteo; un piccolo nucleo di donne coraggiose e fedeli.

E a loro che dubitano ancora, a noi, alle nostre paure e infedeltà, affida il mondo. Li spinge a pensare in grande, a guardare lontano: il mondo è vostro.

 

Gesù se ne va con un atto di enorme fiducia nell’uomo. Ha fiducia in me, più di quanta ne abbia io stesso.

Sa che riuscirò a essere lievito e forse perfino fuoco; a contagiare di Spirito e di nascite chi mi è affidato.

 

Insegnate a osservare. Che cosa ha comandato Cristo, se non l’amore? Il suo comando è: immergete l’uomo in Dio e insegnategli ad amare. A lasciarsi amare, prima, e poi a donare amore.

Qui è tutto il Vangelo, tutto l’uomo.

Fate questo, donando speranza e amorevolezza a tutte le creature, tutti i giorni, in tutti gli incontri.

don Alfredo Di Stefano

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 020 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°20 – RITORNATE IN GALILEA

Andate.

dite ai suoi discepoli

che egli vi precede in Galilea.

 Là lo vedrete” (Mc 16,7)

 

A questo comando, davanti alla pietra della Risurrezione, le donne tornano indietro fiduciose. Con altrettanta fiducia nelle parole delle donne, i discepoli lasciano la Giudea, dove il loro Signore e Maestro è morto sulla croce, e tornano in Galilea dove tutto è cominciato. Là vedranno il Risorto.

E noi? Andate… Anche noi siamo chiamati a tornare laddove ci siamo lasciati due mesi fa per vivere di nuovo le celebrazioni eucaristiche ed incontrare il Signore, come comunità parrocchiale.

Come? Dite… Riprenderemo il nostro cammino di fede attraverso la sua Parola, non più ascoltata da soli e a distanza, ma in forma comunitaria e condivisa. Anche con le bocche fasciate da mascherine la Parola, come l’acqua, romperà gli argini per comunicare la misericordia di Dio, come il fuoco brucerà il virus dell’indifferenza, della durezza di cuore e della superficiale convivenza.

La Parola si riappropria così dei due spazi a lei connaturali: la chiesa e la strada.

 Dove? In Galilea. In fondo abbiamo scoperto che si sta bene anche in casa, attaccati alle nostre comodità, tutto a nostra disposizione, senza grosse fatiche nel cercare, dal bicchiere di acqua alle notizie a fiume, dalle Messe in TV o sui social ai tanti messaggi scambiati anche tra sconosciuti.

Ora siamo invitati a “tornare in Galilea”, la terra in cui Gesù ha iniziato la sua missione, ha scelto i suoi discepoli, ha annunciato il Vangelo, ha condiviso la vita con la gente, guarendo, curando, liberando, accogliendo, risvegliando nei cuori fiducia e speranza.

La “Galilea delle genti”, è lo spazio di incontro tra realtà diverse, area di scambio culturale, economico, sociale. Là si incontra il Risorto, nella strada e nella chiesa.

La comunità parrocchiale è per noi, oggi, la terra di Galilea, dove accogliamo l’annuncio del Vangelo, facciamo esperienza dei sacramenti, cresciamo ogni domenica come fedeli.

Perché? Là lo vedrete. Lo rivedremo, sì, nello spezzare il Pane e nei gesti di fraternità che sapremo ancora esprimere come servizio umile gli uni agli altri, come carità verso i bisogni di tanti, piccoli e adulti, vicini e lontani.

Ma…

Sarà sicuro partecipare alla vita della parrocchia? La renderemo tale!

Sarà piacevole rivedere tanti volti? Sono certo di sì, benché nascosti un po’ dalle mascherine!

Potremo abbracciarci? Ancora no, ma sarà bello sorriderci e parlare, cantare e pregare insieme.

Con lo stesso coraggio di quel mattino di Pasqua, con la stessa speranza delle donne del Vangelo, con la stessa gioia dei discepoli, anche noi torneremo a incontrare Gesù in parrocchia, a celebrare la sua presenza, a rivederlo nei gesti e nei volti dei nostri fratelli e sorelle.

Sarà bello, allora, ritrovarci tutti insieme a partire da Lunedì 18 maggio davanti alla porta della Chiesa.

Sarà emozionante riaprirla, anzi, spalancarla tutta come porta della speranza e della vita.

“Non abbiate paura” disse il Cristo risorto ai suoi discepoli timorosi e preoccupati.

“Non abbiate paura” dico io a ciascuno di voi. Vi attendo fiducioso e vi benedico.

Il vostro parroco, don Alfredo

 

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