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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 38

2020 – Echi di Vita N°38 – UNA BONTA’ CHE VA OLTRE LA GIUSTIZIA

Finalmente un Dio che non è un padrone, nemmeno il migliore dei padroni.

È altra cosa: è il Dio della bontà senza perché, che crea una vertigine nei normali pensieri, che trasgredisce le regole del mercato, che sa ancora saziarci di sorprese.

Intanto è il signore di una vigna: fra tutti i campi la vigna è quello dove il contadino investe più passione e più attese, con sudore e poesia, con pazienza e intelligenza. È il lavoro che più gli sta a cuore: per cinque volte infatti, da uno scuro all’altro, esce a cercare lavoratori.

E’ questa terra la passione di Dio, e coinvolge me nella sua custodia; è questa mia vita che gli sta a cuore, vigna da cui attende il frutto più gioioso. Eppure mi sento solidale con gli operai della prima ora che contestano: non è giusto dare la medesima paga a chi fatica molto e a chi lavora soltanto un’ora.

È vero: non è giusto. Ma la bontà va oltre la giustizia. La giustizia non basta per essere uomini. Tanto meno basta per essere Dio. Neanche l’amore è giusto, è un’altra cosa, è di più.

Se, come Lui, metto al centro non il denaro, ma l’uomo; non la produttività, ma la persona; se metto al centro quell’uomo concreto, quello delle cinque del pomeriggio, un bracciante senza terra e senza lavoro, con i figli che hanno fame e la mensa vuota, allora non posso contestare chi intende assicurare la vita d’altri oltre alla mia.

Dio è diverso, ma è diversa pienezza.

Non è un Dio che conta o che sottrae, ma un Dio che aggiunge continuamente un di più. Che intensifica la tua giornata e moltiplica il frutto del tuo lavoro.

Non fermarti a cercare il perché dell’uguaglianza della paga, è un dettaglio, osserva piuttosto l’accrescimento, l’incremento di vita inatteso che si espande sui lavoratori.

Nel cuore di Dio cerco un perché. E capisco che le sue bilance non sono quantitative, davanti a Lui non è il mio diritto o la mia giustizia che pesano, ma il mio bisogno. Allora non calcolo più i miei meri­ti, ma conto sulla sua bontà.

Dio non si merita, si accoglie.

Ti dispiace che io sia buono? No, Signore, non mi dispiace, perché sono l’ultimo bracciante e tutto è dono. No, non mi dispiace perché so che verrai a cercarmi anche se si sarà fatto tardi. Non mi dispiace che tu sia buono. Anzi.

Sono felice che tu sia così, un Dio buono che sovrasta le pareti meschine del mio cuore fariseo, affinché il mio sguardo opaco diventi capace di gustare il bene.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 37

2020 – Echi di Vita N°37 – LA MISURA DEL PERDONO NON E’ MAI COLMA

“Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”. Cioè, sempre.

L’unica misura del perdono è perdonare senza misura. Ma perché farlo? La risposta è semplice e alta: perché così fa Dio.

 

Gesù lo spiega con la parabola dei due debitori. Il primo doveva una cifra iperbolica al suo re, qualcosa che non sarebbe mai riuscito a pagare: allora, gettatosi a terra, lo supplicava. E il re provò compassione. Sente come sua l’angoscia del servo, essa conta più dei suoi diritti, pesa più di diecimila talenti, allarga il cuore del re.

 

C’è un modo regale di stare nel mondo, un modo divino, e risiede nella larghezza di cuore: sa perdonare chi è più grande e più forte. E in opposizione a questo cuore regale ecco il cuore servile: appena uscito quel servo trovò un altro servo…

Appena uscito, non una settimana dopo, non il giorno dopo, non un’ora dopo. Appena uscito, ancora immerso in una gioia insperata, appena liberato, appena restituito al futuro e alla famiglia, appena fatta l’esperienza di un cuore regale, preso il suo compagno per il collo lo strangolava, gridando: ridammi le mie mille lire, lui, perdonato di miliardi.

 

Il servo perdonato non agisce contro il diritto o la giustizia. È giusto, e spietato. È onesto, e al tempo stesso cattivo.

Quanto è facile essere giusti e spietati, onesti e cattivi! Perché non basta essere giusti per essere uomini, tanto meno per essere di Dio. Giustizia e diritto da soli non bastano a fare nuovo il mondo.

Anzi, l’estrema giustizia, “ridammi le mie mille lire”, può contenere la massima offesa all’uomo: presolo per il collo, lo strangolava.

Gesù propone l’illogica pietà: non dovevi anche tu avere pietà di lui, come io ho avuto pietà di te?

Perché avere pietà e perdonare? Per acquisire il cuore di Dio, immettere il suo divino disordine dentro l’equilibrio apparente del mondo. Perché niente vale quanto una vita. E allora occorre una dismisura, il perdono fino a settanta volte sette, un eccesso di pietà.

Occorre il perdono di cuore. È difficilissimo perdonare di cuore. Comporta un atto di fede, non d’intelligenza. Nell’uomo. Un atto di speranza, non di spontaneità. Nell’uomo.

Palestinesi ed israeliani usciranno dal loro equilibrio di paura e di morte solo con il coraggio di un atto di fede reciproca. Fede è dare fiducia all’altro, guardando non al passato, ma al futuro. Così fa Dio con me: mi perdona non come Colui che dimentica il mio passato, ma come Colui che mi sospinge oltre.

Dio perdona come un liberatore. Ti lancia in avanti. Ti fa salpare ancora verso albe intatte, come vento che gonfia le vele, supplemento d’energia. Ti perdona come atto di fede in te, cuore largo verso il tuo futuro.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 36

2020 – Echi di Vita N°36 – LA FATICA E LA GIOIA DI GUADAGNARE UN FRATELLO!

Mai senza l’altro.

Tema della prima lettura: ti ho fatto sentinella, custode, voce per i tuoi fratelli.

Tema di Paolo: avete un solo debito da versare ognuno nel cuore dell’altro, quello di un amore reciproco.

 

In una società di competizione, il cristiano è diverso: è custode, debitore, intercessore degli altri. Non un pretendente, ma un debitore grato. Verso i genitori, gli amici, coloro che ti fanno vivere perché ti vogliono bene.

In una società dove l’uomo è solo un essere sociale, il credente dice che questo non basta, che dove due o tre sono riuniti nel nome di Cristo, lì c’è Cristo stesso.

Dio seminato nei solchi dell’umanità.

 

Quando due o tre si guardano con pietà e verità, lì c’è Dio.

Quando un uomo dice ad una donna: tu sei carne della mia carne, vita della mia vita, lì c’è Dio, cuore del loro cuore, nodo degli amori, legame delle vite.

Quando un genitore e un figlio si guardano e si ascoltano con amore, lì c’è Dio.

Quando l’amico paga all’amico il debito del reciproco affetto, lì c’è Cristo, l’uomo perfetto, il fine della storia umana, punto focale dei desideri, gioia di ogni cuore, pienezza delle aspirazioni, forza che ti fa partire, energia che ti mette in cammino verso tuo fratello.

 

Se tuo fratello commette una colpa, tu va’, esci, prendi il sentiero, bussa alla sua porta.

Dio è una strada che ci porta gli uni verso gli altri.

Se tuo fratello sbaglia, tu va’, tu avvicinati, tu cammina verso di lui.

Che cosa mi autorizza a intervenire nella vita dell’altro?

 

Solo questa parola: fratello. Solo se porti il peso e la gioia dell’altro, se ne conosci le lacrime, se ne sei fratello, sei autorizzato ad ammonire.

Ciò che ci autorizza non è la verità, ma la fraternità. I cristiani sono coloro che fanno la verità nell’amore. Che non separano mai verità e amore. Per non farli morire. La verità senza amore porta a tutti i conflitti, alle guerre di religione. D’altro canto, l’amore senza verità è sterile, perché è amore per caso, fortuito, senza progetto né futuro.

 

Se ti ascolta, hai guadagnato tuo fratello. Questo verbo è stupendo: il fratello è un guadagno, un tesoro per te e per il mondo, un talento, una ricchezza per Dio e per la terra.

Per questo un celebre detto ebraico assicura: chi salva un solo uomo, salva il mondo intero. Perché Dio dona eternità a tutto ciò che di più bello ha seminato nel mondo, all’uomo fratello del cammino di ogni avventura di vita.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 35

2020 – Echi di Vita N°35 – PRENDERE LA CROCE PER TROVARE LA VITA

Con questo brano Matteo ci conduce allo spartiacque di tutto il suo Vangelo. Terminano i giorni dell’insegnamento, dell’ itineranza libera e felice sulle strade di Palestina, inizia il grande racconto della passione, morte e risurrezione: Gesù comincia a dire che deve molto soffrire e venire ucciso.

Da allora il centro dell’intera storia umana è il volto di un Dio crocifisso. Questo è lo scandalo del cristianesimo. Accettare Gesù come Messia è ancora ammissibile. Ma che il Messia debba terminare la sua vita con una morte orrenda, ecco ciò che è davvero inammissibile. Come se Pietro dicesse a Gesù: ma tu vuoi salvare questa storia naufraga lasciandoti uccidere? Ma non servirà. La terra è un immenso pianto, il mondo ha problemi enormi, bisogna risolverli; e tu pensi di farlo finendo in croce? Il mondo non sarà salvo per un crocifisso in più fra i milioni di crocifissi della storia. È una follia. Usa altri mezzi, il potere, la sacralità, il miracolo, l’autorità.

Ed è proprio questo che Gesù rifiuta. Sceglie invece il servizio, la povertà di spirito, la misericordia, la fame di giustizia, il cuore limpido, il costruire pace, la mitezza, la croce.

Che cos’è la croce di Cristo se non il patire di un Dio appassionato, l’affermazione alta che Dio ama altri più della sua stessa vita, che ha tanto amato il mondo da dare suo figlio?

La croce è il segnale massimo lanciato da Dio, il punto ultimo in cui tutto si incrocia: le vie del cielo, le vie del cuore, le vie della terra, dove tutto è scritto in lettere di sangue e d’amore, le uniche che non ingannano.

E per noi, per i discepoli che cos’è la croce? Per capirlo basta sostituire una parola. Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda su di sé tutto l’amore di cui è capace e mi segua.

La croce del discepolo non sono le fatiche, le malattie, il dolore quotidiano, cose inevitabili, ma solo da sopportare. La croce è da prendere, dice Gesù, è da scegliere, come riassunto di un destino e di un amore. E dice: ricordati che chi vive solo per sé muore; che il vero dramma dell’uomo non è perdere la vita, ma non avere nulla per cui valga la pena dare la vita; che non devi conformarti alla mentalità di questo mondo, ai suoi falsi valori, alle sue meschinità.

Il dramma del mondo non è che alcuni fanno il male, ma che la grande maggioranza non si oppone al male.

Non c’è pace se ci conformiamo a questo mondo; non c’è pace se ci conformiamo alla paura di un amore serio. Non c’è pace se dimentico che ho un’anima e che l’anima in me è il respiro di Dio. Questo respiro vale più di tutto il mondo. Senza di esso sarei niente, guadagnerei il mondo, ma perderei me stesso.

don Alfredo Di Stefano

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 034 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°34 – CRISTO MI CHIEDE: CHI SONO IO PER TE?

Voi chi dite che io sia?

Anzi, la domanda è preceduta da un «ma»: Ma voi… come se i Dodici, e con loro i cristiani tutti, fossero diversi, non appiattiti sul pensiero dominante, gente che non parla mai per sentito dire.

Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.

Figlio: nella Bibbia «figlio» è un termine tecnico che indica uno che compie le opere del padre, uno che fa ciò che Dio fa’, che prolunga nella sua vita un’altra vita.

Figlio del Vivente: tu porti Dio qui, fra noi; fai vedere e toccare il Dio sorgente della vita, tutt’uno con la vita, intrecciato ad essa. Pietro lo ha visto, ha visto Gesù passare nella vita come donatore di più vita: da chi mai andremo? Tu solo hai parole che fanno viva finalmente la vita.

La domanda di Gesù arriva oggi fino a me: Ma tu, chi dici che io sia? Non chiede: cosa hai imparato da me? Qual è il riassunto del mio insegnamento? Ma: Io chi sono per te? Cosa porto io a te, cosa immetto nella tua vita? E non c’è risposta nelle parole d’altri. Non servono libri o catechismi, studi o letture.

 

Chi sei per me Gesù? Per me tu sei vita. E il nome della vita è gioia, libertà e pienezza. Tu sei vita, che è forza, coraggio e capacità di risorgere dalle cadute. Vita che non finisce mai, eternità. Più Dio in me equivale a più io.

E mi accorgo che Cristo non è ciò che dico di lui, ma ciò che di Lui brucia in me. La verità non è una formula, è ciò che arde dentro, scalda il cuore e muove la vita.

Tu sei roccia e su questa roccia fonderò la mia chiesa; a te darò le chiavi del regno.

Pietro e, secondo la tradizione, i suoi successori, sono roccia nella misura in cui continuano ad annunciare quell’unica parola: «Cristo è il Figlio del Dio vivente».

Pietro è roccia per la Chiesa e per l’umanità nella misura in cui trasmette che Dio è amore, che la sua casa è ogni uomo; che Cristo, crocifisso, è ora vivo, possibilità di una vita buona, bella e beata per l’intera umanità.

Pietro è chiave nella misura in cui apre porte e strade che ci portino gli uni verso gli altri e insieme verso Dio.

La benedizione di Gesù a Pietro (beato te, Simone!) raggiunge ogni discepolo: Felice sei tu, se la tua vita ha trovato Cristo, la roccia.

Anche tu sei pietra viva, con te edifico la mia casa; anche tu sei chiave.

Come credenti: essere roccia per dare sicurezza, stabilità e senso anche ad altri; essere chiave per aprire le porte belle di Dio e la vita in pienezza.

Tutti siamo chiamati ad essere nel mondo strumenti di solidità e di apertura.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 033 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°33 – PICCOLI SEGNI, MA GRANDE LA FEDE

Pochi personaggi del Vangelo sono simpatici come questa donna: è una madre, non prega per sé, ha immaginazione, non si arrende ai silenzi o al rifiuto, intuisce sotto il no di Gesù l’impazienza di dire sì.

Crede che Dio è più attento alla felicità dei suoi figli, che non alla loro fedeltà. Questa è la grandezza della sua fede. Crede che Dio consideri la salute di una ragazza fenicia più importante della sua adorazione e della sua gloria. Crede che la gloria di Dio è l’uomo vivente, l’uomo guarito, una ragazza felice, una madre abbracciata alla carne della sua carne.

Grande è sulla terra il numero delle madri di Tiro e Sidone, che non sanno il credo, ma sanno il cuore di Dio, lo sanno da dentro. Grande è allora la fede sulla terra: le madri sanno che se un figlio soffre, per questa semplice, nuda ragione, Dio si fa vicino.

E’ il Dio-per-te, che non si appartiene, ma appartiene ai sofferenti di qualsiasi fede, di qualsiasi nazione. Dove c’è dolore, lì c’è tutta la pietà di Dio. Può sembrare una briciola, ma le briciole di Dio sono grandi come Dio stesso. Perché Dio non può dare nulla di meno di se stesso. E se un giorno la sofferenza mi impedirà forse perfino di pregare, se saprò esprimere solo una muta paura, in quel momento Dio si farà vicino, pane per i figli, briciole per i cuccioli. E so che allora non importerà più merito o demerito; Dio non conterà i miei peccati, ma ad una ad una le mie lacrime. E l’avrò vicino, il Dio che pena nel cuore di ogni figlio; che in ognuno porta la speranza e forse anche la dolcezza dell’abbraccio della madre cananea e della figlia guarita. Una frase dà la svolta al dialogo. Dice quella donna: non puoi fare delle briciole di miracolo, briciole di segni, per questi cani di pagani?

In questo presente di fame e di festa, di vacanze e di miseria, una fiumana di madri cananee implorano ancora briciole per i loro cuccioli, stritolati dal demone della fame e della malattia. Il mondo domanda ai discepoli: fate dei segni, dei piccolissimi segni, delle briciole di miracolo, per noi, i cagnolini della terra.

Allora capiremo il Regno, e come sia una terra di uomini. Una tavola ricca di pane, una corona di figli, briciole, e dei cuccioli affamati: questa immagine si è fatta strada verso il cuore di Gesù e può farsi strada verso il nostro.

La pietà di Dio viene sempre, forse a guarire, certamente a versare le sue lacrime nelle nostre, a versare la sua speranza nei giorni della nostra sconfitta, a trasformare tutti i cagnolini in figli.

Di sotto la tavola li alzerà e li metterà sopra il candeliere, perché anch’essi siano come occhi di luce alla mensa del pane e della fraternità.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 032 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°32 – NELLA NOTTE L’ABBRACCIO CHE SALVA

Vangelo di paure? Gesù dapprima assente, poi come un fantasma, infine come una mano salda che ti afferra. Un crescendo di fede.

Eppure egli è già qui, da subito, è la sorgente della forza dei rematori, è la tenacia del timoniere, è negli occhi di tutti fissi a oriente.

E la barca, simbolo della comunità e della vita, intanto avanza non per il morire del vento, ma per il prodigio di rematori che non si arrendono e si sostengono l’un l’altro, primo miracolo.

Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque, domanda Pietro. E venne da Gesù. Pietro cammina sulle acque, perché guarda a Lui; poi inizia ad affondare, perché guarda il vento ed ha paura. Guarda al Signore e alla sua chiamata, e va; poi guarda alle onde, alle proprie difficoltà, e inizia la discesa nell’angoscia.

 

Eterno oscillare tra fede e dubbio. E tra i due, come salvezza, un grido: Signore salvami! Grido di fede, di paura, grido di morente, radice della fede: perché qualsiasi dubbio può essere redento anche da una sola invocazione gridata di notte, nella tempesta, nel vento, sulla croce.

Pietro mostra che il miracolo di camminare sul mare non serve a rafforzare la fede: cammina e già dubita. Un giorno seguirà il Signore, ma non più attratto dal suo camminare sulle acque, bensì dal suo camminare verso il calvario; andrà dietro a colui che sa far tacere non tanto il vento e il mare, ma tutto ciò che non sia amore; dietro a colui che sa farsi prossimo sulla polvere di ogni strada e non sul luccichio di acque miracolose.

Pietro è uomo di poca fede non perché dubita del potere di Gesù, ma proprio perché chiede miracoli, perché cerca l’onnipotenza di Dio più che il calore semplice della sua mano.

Gesù invece abbraccia la debolezza della croce, anzi la forza immensa della croce e per questo verrà in aiuto a chiunque è sorpreso al largo, è catturato dalla tempesta, sta affondando. Signore, salvami! È là che Gesù ci raggiunge. Ci raggiunge e non punta il dito contro i nostri dubbi, ma stende la mano per afferrarci.

 

Il grido di Pietro ci insegna a non temere la nostra piccola fede. Forse occorreva questo principio d’affondamento nelle acque, della disperazione, per trovare il coraggio di affidarci a Gesù, di gridare a Lui.

Allora verrà. Ma verso la fine della notte. Verrà, ma dopo la lunga lotta, lui, sì, camminando sul mare. Verrà, dentro la nostra poca fede, a salvarci da tutti i naufragi.

E il grido diverrà abbraccio, tra l’uomo e il suo Dio.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 031 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°31 – IL PANE CONDIVISO TRA TUTTI DIVENTA PANE DI DIO

Una sera, in riva al lago, cinquemila uomini con donne e bambini: un amore li ha condotti nel deserto, al limite della notte, Gesù.

I discepoli, uomini pratici, dicono: “Congedali perché vadano a comprarsi da mangiare”. Il maestro ribatte: “Date loro voi stessi da mangiare”.

Due atteggiamenti opposti, riassunti da due verbi: comprare o dare.

 

Comprare, dicono gli apostoli. Ed è la nostra mentalità: se vuoi qualcosa, lo devi pagare. Non c’è nulla di scandaloso, ma neppure nulla di grande in questa nostra logica dove trionfa l’eterna illusione dell’equilibrio del dare e dell’avere.

In questo sistema chiuso, prigioniero della necessità, Gesù introduce il suo verbo: date voi stessi da mangiare. Non già: vendete, scambiate, prestate; ma semplicemente, radicalmente: date. E sul principio della necessità comincia a spuntare, a sovrapporsi un altro principio: la gratuità, l’amore senza calcoli, il disequilibrio, dare senza aspettarsi niente. Solo la gioia, forse.

 

Ci sono molti miracoli in questo racconto, e il primo è che nulla, neppure la fame, il deserto o la notte, separa quei cinquemila dal fascino di Cristo; poi viene quello dei cinque pani che passano dalle mani di uno alle mani di tutti.

Il miracolo della moltiplicazione comincia quando il pane da mio diventa nostro, nostro pane quotidiano. Il pane per me stesso è una questione materiale, il pane per il mio vicino è una questione spirituale.

Dacci il nostro pane, diciamo. Ma quella domanda rimbalza da Dio fino a noi: date loro voi stessi da mangiare; date e vi sarà dato, una misura piena, abbondante.

Misteriosa regola del Regno: poco pane, condiviso tra tutti, è sufficiente, diventa il pane di Dio.

La fame comincia quando io tengo il mio pane per me, quando l’Occidente tiene il suo pane per sé.

In questo nostro mondo il primo miracolo, impossibile e pure necessario, è la condivisione. Sfamare la terra è un miracolo possibile se la condivisione si fa possibile. La moltiplicazione verrà, perché chi condivide convoca Dio, lo provoca, mette il pane nelle sue mani, diventa dipendente dal cielo, e Dio non abbandona. Cinque pani basteranno per una folla, e i pezzi avanzati riempiranno dodici ceste. Nulla andrà perduto, nulla è troppo piccolo per non servire alla comunione.

Il Signore sia il nostro vero affamatore, e sapremo dare pane a chi ha fame, e accendere fame di cose grandi in chi è sazio di solo pane.

don Alfredo Di Stefano

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 030 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°30 – COME UN TESORO NASCOSTO…

Come un tesoro. Tesoro: parola magica, così poco usata nella religione, parola d’innamorati, di favole, di storie grandi.

E di Vangelo. Che capovolge la vita, contiene tutte le speranze, rilancia tutti i desideri.

Un tesoro ci attende: a dire che l’esito della storia sarà comunque felice; che nell’uomo è posto un eccesso di desiderio che nessuna cosa concreta o quotidiana potrà esaurire.

Nascosto in un campo: che è il mondo, che è il cuore; e la vita altro non è che un pellegrinaggio verso il luogo del cuore, là dove maturano tesori.

Il protagonista vero della parabola non è il contadino, ma il tesoro: Cristo, e la pienezza di umanità che Lui è venuto a portare.

Dal tesoro deriva una seconda parola: per la gioia quell’uomo va, vende, compra.

È la gioia, radice della vita, che muove, mette fretta, fa decidere.

Noi non avanziamo nella vita a colpi di volontà, ma solo per scoperta di tesori (là dov’è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore); per passione di bellezza (mercanti che cercano le perle più belle); per riserve di gioia che Qualcuno, uomo o Dio, amore o tesoro, seme o spiga, colma di nuovo.

Chiedi al Signore la gioia ed Egli ti risponderà dandoti la vita.

Gioia non facile, quindi: c’è un campo da lavorare, rovi e sudore, un tesoro da trovare e nascondere, un tutto da vendere e investire.

Dio vuole che il suo dono diventi nostra conquista. Ma la parola centrale è tesoro!

Il cristianesimo non è rinuncia o sacrificio, è un tesoro: Dio in me, pienezza d’umano, vita bella, estasi della storia. E mettervi tutte le mie energie. Allora lascio tutto, ma per avere tutto. Vendo tutto, ma per guadagnare tutto.

Un tesoro ci attende. E lo Spirito santo è questo soffio divino che fa nascere i cercatori d’oro.

Immaginiamo allora una storia, personale e collettiva, costellata di tesori; sentiamo la vita come intrisa di perle e della loro bellezza.

E noi a intingere la spola dei nostri giorni, i nostri sogni dentro tesori, dentro la gioia.

Il tesoro non si compra, è un dono. L’uomo compra solo  il campo.

 

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 029 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°29 – PAZIENZA, OPERAI DEL REGNO

Il cuore della parabola di oggi è molto semplice: nella nostra vita il bene e il male crescono insieme in un intreccio che l’uomo non deve districare, lasciando a Dio di compiere tale opera nella pienezza dei tempi. Ci sconcerta l’agire di Dio.

Dio invita ad aspettare, a pazientare. E ne spiega la ragione: strappando anzitempo la zizzania, molto simile al grano all’inizio della sua crescita, si potrebbe erroneamente strappare qualche spiga. Dal nostro punto di vista è un danno collaterale: cosa volete che sia qualche spiga al cospetto dell’intero raccolto salvato?

Il punto di vista di Dio, al solito, è diverso. La soluzione c’è: pazientare per vedere il frutto, per poterlo distinguere. E, a questo punto, intervenire tagliando entrambi, grano e zizzania e separandoli. L’uno nel fuoco, l’altro nel granaio.

 

Il padrone non nega la necessità della separazione. Dice solo che non è ancora il tempo e che non spetta agli uomini decidere quando sia il momento. La pazienza è necessaria perché noi uomini non siamo in grado di compiere la cernita. E perché è Dio ad avere stabilito l’ora della separazione, non noi.

Noi non siamo in grado di operare correttamente la cernita, non scherziamo. Grossolani come siamo, e anche un po’ autoreferenziali, noi uomini corriamo il rischio di giudicare gli altri dal nostro punto di vista, anche appellandoci a convinzioni profonde.

 

Nella Storia noi cristiani abbiamo compiuto degli abomini, facendo l’esatto contrario di ciò che insegnava il vangelo… appellandoci al vangelo!

Ci vogliono, invece, un po’ di buon senso e di sana prudenza, al fine di moderare lo zelo della distruzione e della soluzione finale che tutti portiamo nel cuore.

È Dio ad avere stabilito l’ora della separazione. E ne intuiamo le ragioni: solo dal frutto riusciamo a cogliere la bontà della pianta. Se una spiga è buon grano o zizzania lo capiamo solo quando vediamo il frutto gonfiare lo stelo.

 

L’apparenza inganna, e Dio lo sa bene. Persone che sembrano lontane da Dio, travolte dall’ombra, impestate, possono cambiare, convertirsi, fare buon frutto. Perciò i cristiani, inguaribili ottimisti, cocciuti nella speranza, pensano sempre che una persona possa cambiare in meglio. E come tali dovrebbero agire.

Gesù chiede di pazientare perché sa bene che il cuore dell’uomo può cambiare.

don Alfredo Di Stefano

 

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