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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 35

2022 – Echi di Vita N°35 – VIVERE COME DIO, DARE SENZA AVERE…

Sarai beato! Perché la ricompensa al dono non è il contraccambio, ma la felicità dell’altro, e la vita che attorno a te risorge.

Con le parole di Gesù entriamo in un territorio inusuale, al di là dei diritti e dei doveri, al di là della legge un po’ gretta della reciprocità, verso una sorta di divina follia, verso semi di una nuova civiltà.

Che scopo ha invitare i più poveri dei poveri? Per noi, che siamo tutti prigionieri di una vita di scopi? Noi amiamo ‘per’, preghiamo ‘per’, compiamo opere buone ‘per’… ma motivare l’amore non è amare; avere una ragione per donare non è dono puro, avere una motivazione per pregare non è preghiera perfetta.

Quando offri un pranzo (ed è già cosa grande essere capaci di offrire), non invitare né amici, né fratelli, né parenti, né vicini ricchi: belli questi quattro gradini del cuore in festa, quattro segmenti del cerchio caldo degli affetti, della gioiosa geografia del cuore; non invitarli, perché poi anche loro ti inviteranno e il cerchio si chiude nell’eterna illusione del pareggio tra dare e avere, e allora è la storia che si chiude e si chiudono le brecce per ulteriore vita.

Quando offri un pranzo invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Ecco di nuovo quattro gradini, quelli che ti portano oltre il cerchio del sangue, oltre il piacere della reciprocità, aprono l’impensato e le brecce per una storia ulteriore. Invita questi strani commensali, e non perché tu ne hai bisogno (bisogno di amici, di gratitudine, di sentirti buono) ma perché loro ne hanno bisogno.

Sarà forse un pranzo un po’ triste per te? Ma per loro sarà un pranzo felice.

E tu sarai beato. Perché la gioia più grande è quella che da te defluisce e che riattingi, moltiplicata, dal volto dell’altro.

E sarai beato, perché agisci come agisce Dio, perché vivere è dare. La felicità ha a che fare con il dono e non può mai essere solitaria.

E sarai beato, perché c’è più felicità nel dare che nel ricevere. Questo è il divino vangelo, vangelo da Dio e non da uomini, che mette a soqquadro la logica del tornaconto, e tutta la storia non lo può contenere, e l’uomo intero non basta.

E mi dà gioia pensare che il Signore mi invita su queste strade un po’ folli, ma così libere, certo che nessun sistema sociale può contenere ed esaurire la forza giovane del Vangelo, che il Regno crescerà in ogni sistema come una falla di luce.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 34

2022 – Echi di Vita N°34 – QUELLA PORTA “STRETTA” PER APRIRCI ALL’ESSENZIALE…

Gesù è in cammino verso la città dove muoiono i profeti. Lungo la strada, un tale gli pone una domanda circa la salvezza: di Gerusalemme e di tutti. E Gesù risponde con altrettanta cura: salvezza sarà, ma non sarà facile. E ricorre all’immagine della porta stretta. Un aggettivo che ci inquieta, perché «stretta» evoca per noi fatiche e difficoltà.

Ma il Vangelo è portatore di belle notizie: la porta è stretta, cioè piccola, come lo sono i piccoli e i bambini e i poveri che saranno i principi del Regno di Dio; è stretta ma a misura d’uomo, di un uomo nudo ed essenziale, che ha lasciato giù tutto ciò di cui si gonfia: ruoli, portafogli, elenco dei meriti, bagagli inutili, il superfluo.

 

La porta è stretta, ma è aperta.

L’insegnamento è chiaro: fatti piccolo, e la porta si farà grande.

Quando il padrone di casa chiuderà la porta, voi busserete: Signore, aprici.

E lui: non so di dove siete, non vi conosco. Avete false credenziali. Quelli che si accalcano per entrare si vantano di cose che contano poco: abbiamo mangiato e bevuto con te, eravamo in piazza ad ascoltarti. Ma questo può essere solo un alibi di comodo.

 

Abbiamo mangiato in tua presenza… Non basta mangiare il pane che è Gesù, spezzato per noi, bisogna farsi pane, spezzato per la fame d’altri.

Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia. Non vi conosco. Il riconoscimento sta nella giustizia fattiva.

Dio non ti riconosce per formule, riti o simboli religiosi, ma perché hai mani di giustizia. Ti riconosce non perché fai delle cose per lui, ma perché con lui e come lui fai delle cose per i piccoli e i poveri.

 

Non so di dove siete: il vostro modo di vedere è lontanissimo dal mio, voi venite da un mondo diverso rispetto al mio, da un altro pianeta. Infatti, quelli che bussano alla porta chiusa hanno compiuto, sì, azioni per Dio, ma nessun gesto di giustizia per i fratelli.

 

La conclusione della piccola parabola è piena di sorprese: la sala è piena, oltre quella porta Gesù immagina una festa multicolore: verranno da oriente e occidente, dal nord e dal sud del mondo e siederanno a mensa.

Viene sfatata l’idea della porta stretta come porta per pochi, solo per i più bravi.

Tutti possono passare, per la misericordia di Dio. Lui li raccoglie da tutti gli angoli del mondo, variopinti clandestini del regno, arrivati ultimi e per lui considerati primi.

 

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 33

2022 – Echi di Vita N°33 – CHIAMATI A CUSTODIRE IL BRUCIORE DEL FUOCO

Fuoco e divisione sono venuto a portare.

Vangelo, duro e pensoso. Testi scritti sotto il fuoco della prima violenta persecuzione contro i cristiani, quando i discepoli di Gesù si trovano di colpo scomunicati dall’istituzione giudaica e, come tali, passibili di prigione e morte. Un colpo terribile per le prime comunità di Palestina, dove erano tutti ebrei, dove le famiglie cominciano a spaccarsi attorno al fuoco e alla spada, allo scandalo della croce di Cristo.

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra.

Il fuoco è simbolo altissimo, è la memoria nel racconto dell’Esodo della sua presenza: fiamma che arde e non consuma al Sinai; bruciore del cuore come per i discepoli di Emmaus; fuoco ardente dentro le ossa per il profeta Geremia; lingue di fuoco a Pentecoste; sigillo finale del Cantico dei Cantici: le sue vampe sono vampe di fuoco, una scheggia di Dio infuocata è l’amore.

Pensate che io sia venuto a portare la pace?

No, vi dico, ma divisione. La pace non è neutralità, mediocrità, equilibrio tra bene e male. Forse il punto più difficile e profondo della promessa messianica di pace: essa non verrà come pienezza improvvisa, ma come lotta e conquista.

Gesù per primo è stato con tutta la sua vita segno di contraddizione, “per la caduta e la risurrezione di molti”. Conosceva, come i profeti antichi, la misteriosa beatitudine degli oppositori, di chi si oppone a tutto ciò che fa male alla storia e ai figli di Dio. La sua predicazione non metteva in pace la coscienza di nessuno, la scuoteva dalle false paci apparenti, frantumate da un modo più vero di intendere la vita.

La scelta di chi perdona, di chi non si attacca al denaro, di chi non vuole dominare ma servire, di chi non vuole vendicarsi, di chi apre le braccia e la casa, diventa precisamente, inevitabilmente, divisione, guerra, urto con chi pensa a vendicarsi, a salire e dominare, con chi pensa che vita vera sia solo quella di colui che vince.

Come Gesù, così anche noi siamo inviati a usare la nostra intelligenza non per venerare il tepore della cenere, ma per custodire il bruciore del fuoco, siamo una manciata, un pugno di calore e di luce gettati in faccia alla terra, non per abbagliare, ma per illuminare e riscaldare quella porzione di mondo che è affidata alle nostre cure.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 32

2022 – Echi di Vita N°32 – Dio è al servizio della nostra felicità

Nell’ora che non immaginate viene il figlio dell’uomo. Viene, ma non come una minaccia o un rendiconto che incombe. Viene ogni giorno ed ogni notte e cerca un cuore attento.

La parabola del signore e dei servi è scandita in tre momenti.

 

Tutto prende avvio per l’assenza del signore, che se ne va e affida la casa ai suoi servi. Così Dio ha consegnato a noi il creato, come in principio l’Eden ad Adamo. Ci ha affidato la casa grande che è il mondo, perché ne siamo custodi con tutte le sue creature. E se ne va.

Dio, il grande assente, che crea e poi si ritira dalla sua creazione. La sua assenza ci pesa, eppure è la garanzia della nostra libertà.

Se Dio fosse qui visibile, inevitabile, incombente, chi si muoverebbe più? Un Dio che si impone sarà anche obbedito, ma non sarà amato da liberi figli.

 

Secondo momento: nella notte i servi vegliano e attendono il padrone; hanno cinti i fianchi, cioè sono pronti ad accoglierlo, a essere interamente per lui. Hanno le lucerne accese, perché è notte.

Anche quando è notte, quando le ombre si mettono in via; quando la fatica è tanta, quando la disperazione fa pressione alla porta del cuore, non mollare, continua a lavorare con amore e attenzione per la tua famiglia, la tua comunità, il tuo Paese, la madre terra. Con quel poco che hai, come puoi, meglio che puoi.

Vale molto di più accendere una piccola lampada nella notte che imprecare contro tutto il buio che ci circonda.

 

Perché poi arriva il terzo momento.

E se tornando il padrone li troverà svegli, beati quei servi. In verità vi dico, -quando dice così, assicura qualcosa di importante- li farà mettere a tavola e passerà a servirli.

È il capovolgimento dell’idea di padrone: il punto commovente, sublime di questo racconto, il momento straordinario, quando accade l’impensabile: il signore si mette a fare il servo! Dio viene e si pone a servizio della mia felicità!

 

Gesù ribadisce due volte, perché si imprima bene, l’atteggiamento sorprendente del signore: e passerà a servirli.

È l’immagine clamorosa che solo Gesù ha osato, di Dio nostro servitore, che solo lui ha mostrato cingendo un asciugamano. Allora non chiamiamolo più padrone, mai più, il Dio di Gesù Cristo, chino davanti a noi, le mani colme di doni.

 

Questo Dio è il solo che io servirò, tutti i giorni e tutte le notti della mia vita. Il solo che servirò perché è il solo che si è fatto mio servitore.

don Alfredo Di STefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 31

2022 – Echi di Vita N°31 – SIAMO RICCHI SOLO DI CIO’ CHE DONIAMO…

La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante.

Una benedizione del cielo, secondo la visione biblica; un richiamo a vivere con molta attenzione, secondo la parabola di Gesù.

Nel Vangelo le regole che riguardano la ricchezza si possono ridurre essenzialmente a due soltanto:

  1. non accumulare;
  2. quello che hai ce l’hai per condividerlo.

Sono le stesse che incontriamo nel seguito della parabola. L’uomo ricco ragionava tra sé: come faccio con questa fortuna? Ecco, demolirò i miei magazzini e ne ricostruirò di più grandi. In questo modo potrò accumulare, controllare, contare e ricontare le mie ricchezze.

Scrive san Basilio Magno: «E se poi riempirai anche i nuovi granai con un nuovo raccolto, che cosa farai? Demolirai ancora e ancora ricostruirai? Con cura costruire, con cura demolire: cosa c’è di più insensato? Se vuoi, hai dei granai: sono nelle case dei poveri».

I granai dei poveri rappresentano la seconda regola evangelica: i beni personali possono e devono servire al bene comune. Invece l’uomo ricco è solo al centro del suo deserto di relazioni, avvolto dall’aggettivo «mio» (i miei beni, i miei raccolti, i miei magazzini, me stesso, anima mia), avviluppato da due vocali magiche e stregate «io» (demolirò, costruirò, raccoglierò…).

Esattamente l’opposto della visione che Gesù propone nel Padre Nostro, dove mai si dice «io», mai si usa il possessivo «mio», ma sempre «tu e tuo; noi e nostro», radice del mondo nuovo.

L’uomo ricco della parabola non ha un nome proprio, perché il denaro ha mangiato la sua anima, si è impossessato di lui, è diventato la sua stessa identità: è un ricco. Nessuno entra nel suo orizzonte, nessun «tu» a cui rivolgersi.

Uomo senza aperture, senza brecce e senza abbracci.

Ma questa non è vita. Infatti: stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta indietro la tua vita. Quell’uomo ha già allevato e nutrito la morte dentro di sé con le sue scelte. È già morto agli altri, e gli altri per lui.

La morte ha già fatto il nido nella sua casa. Perché, sottolinea la parabola, la tua vita non dipende dai tuoi beni, non dipende da ciò che uno ha, ma da ciò che uno dà. La vita vive di vita donata.

Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo dato via. Alla fine dei giorni, sulla colonna dell’avere troveremo soltanto ciò che abbiamo avuto il coraggio di mettere nella colonna del dare.

Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio. Chi accumula «per sé», lentamente muore.

Invece Dio regala gioia a chi produce amore; e chi si prede cura della felicità di qualcuno, aiuterà Dio a prendersi cura della sua felicità.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 30

2022 – Echi di Vita N°30 – ASSOMIGLIO A DIO PADRE?

I discepoli vedono Gesù in intimità profonda con Dio in un rapporto speciale con lui nella preghiera, e che ne parla loro continuamente. Anche i discepoli hanno questo desiderio, che è in fondo di ogni uomo, di trovare la giusta intimità e sintonia con l’Assoluto, con Dio. “Insegnaci a pregare” gli dicono, e Gesù risponde non tanto con una formula da imparare a memoria, ma con un atteggiamento profondo del cuore.

“Padre” è la prima parola della preghiera che troviamo in questo racconto dell’evangelista Luca e che corrisponde più o meno a quella dell’evangelista Matteo, anche se con parole un po’ diverse.

Dio è “padre”, come lo è il padre e direi anche la madre che tutti abbiamo. Dei nostri genitori noi portiamo spesso chiari i tratti del volto e del corpo, ma non sempre ci assomigliamo perché può capitare che non siamo nemmeno geneticamente identici come succede nelle adozioni o quando un figlio non è di entrambi i genitori.

Gesù chiama Dio “Padree insegna ai suoi discepoli a fare lo stesso, perché davvero Dio è così e vuole essere riconosciuto come tale nella vita del suo Figlio e dei suoi figli che oggi siamo noi.

Dire “Padre…” nella preghiera rivolta a Dio è prima di tutto una confessione di fede, perché dice che crediamo che Dio non è “banalmente” una “entità superiore” o “il Creatore”, con un volto e un comportamento indefiniti e distanti…

Dio è padre! Di Dio Padre vogliamo ritrovare nel nostro volto i suoi tratti, il suo stile, il suo modo di fare e soprattutto di amare.

Dire “Padre…” nella preghiera è anche un impegno ad assomigliargli sapendo che anche nel volto dei nostri simili, anche se di colore, età, condizione sociale, nazione e persino religione diversa, c’è qualcosa di Dio, del nostro Padre comune! In questo sta il fondamento nella fraternità universale che è alla base della nostra fede cristiana.

Ma pensando al Padre di tutti che è Dio, vorrei la stessa cosa, cioè arrivare a far sì che con il mio modo di fare, con la mia fede, con le mie parole, le mie scelte quotidiane, chi cerca Dio come Padre possa almeno un po’ scorgere in me i tratti del Suo volto vero, così come i discepoli li vedevano e li amavano nell’uomo Gesù.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 29

2022 – Echi di Vita N°29 – PRIMA AI SUOI PIEDI, POI DIETRO I SUOI PASSI…

Mentre si cammina dietro a Gesù si chiariscono tante cose, se lo si vuole. Altrimenti Lui rispetterà sempre la nostra libertà.

Intanto, si chiarisce ciò che si vorrebbe sempre mantenere in chiaroscuro, cioè, se davvero lo sto seguendo e perché lo sto seguendo: è il vangelo di due domeniche fa (Lc 9,57-62),  in cui il Signore smaschera i nostri disordini. E poi si chiarisce se, mentre lo seguo, ho l’immagine giusta di chi mi sta davanti: se non ha il volto misterioso e il cuore del buon Samaritano che si prende cura di me e di tutti, in realtà, sto seguendo il Dio fatto a mia immagine, o anche solo me stesso. È il vangelo di domenica scorsa.

Per Luca, che è un medico, il cammino dietro al Signore è prima di tutto terapeutico, non lo dimentichiamo. La terapia è guarire nella nostra relazione con Lui. Man mano che guarisce, tante cose e tante nostre relazioni vanno al loro posto.

Come al discepolo, anche al Maestro toccò l’esperienza di essere accolto oltre a quella di venir rifiutato. Ma, osservando le due donne protagoniste dell’accoglienza, ci accorgiamo che una incarna l’accoglienza che genera una relazione autentica; l’altra incarna un’accoglienza che ci sottrae o perlomeno inficia la relazione.

Marta, infatti, è così preoccupata dalle tante cose “da fare” per il suo ospite, che è indignata dalla posizione apparentemente passiva assunta da sua sorella Maria che invece Gesù approva!

Il che la induce a presentargli il suo reclamo ufficiale: intervenga subito a ripristinare l’ingiustizia di averla lasciata sola nei servizi! Se il Maestro è quello che è, sicuramente mi capirà!

Come sempre, se ci fermassimo all’apparenza, ci troveremmo tutti d’accordo con Marta. Se invece proseguiamo in silenzioso ascolto del testo, possiamo intuire, ancor prima di sentire cosa dice il Signore, che c’è qualcosa che non va nella sua richiesta. Che Marta è disturbata. È il disturbo di tantissimi cristiani che vivono ancora convinti che per incontrare il Signore Gesù bisogna, prima di tutto, fare per Lui molte cose. E dietro questa convinzione c’è l’idea che una relazione con Dio debba moltiplicare le fatiche, perché la sua presenza genera questo.

Maria invece sembra indicare, sedendosi ai piedi del Maestro, che la presenza del Signore genera ben altro. Il reclamo della sorella non la tocca per niente. Non dice niente, non replica. Notate lo splendido acquarello a supporto di questo povero commento: come risalta sovrana la libertà interiore di Maria!

Ci sono fratelli e sorelle che vivono così il loro servizio. In genere, sono dei bei motori turbo che si lamentano se gli altri non girano al loro regime di attività. E sono sempre molto osservatori della poca generosità e dinamicità altrui, magari fondando le loro considerazioni proprio sul vangelo del Samaritano che fa tante cose, oppure ricorrendo a massime spirituali prese qua e là.

Trovo dolcissimo l’ammonimento che Gesù fa a Marta e a tutti quelli che le assomigliano: Maria è la donna che in Gesù ha riconosciuto con gioia il Samaritano che le si è avvicinato per guarirla con olio e vino. Perciò è nella posizione giusta per agire e fare lo stesso per gli altri. Marta, invece, deve convertirsi in sua sorella Maria, se vuole che la sua fede non diventi un posto di blocco dove lamentarsi con Dio di non essere attento verso di lei e di non correggere gli altri!

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 28

2022 – Echi di Vita N°28 – UMANITA’ IMPOSSIBILE SENZA COMPASSIONE…

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Uno dei racconti più belli al mondo. Solo poche righe, di sangue, polvere e splendore.

Il mondo intero scende da Gerusalemme a Gerico. Nessuno può dire: io faccio un’altra strada, io non c’entro. Siamo tutti sulla medesima strada. E ci salveremo insieme o non ci sarà salvezza.

Un sacerdote scendeva per quella stessa strada. Il primo che passa è un prete, un rappresentante di Dio e del potere, vede l’uomo ferito ma passa oltre. Non passare oltre il sangue di Abele. Oltre non c’è nulla, tantomeno Dio, solo una religione sterile come la polvere.

Invece un samaritano, che era in viaggio, vide, ne ebbe compassione, si fece vicino. Un samaritano, gente ostile e disprezzata, che non frequenta il tempio, si ferma, si commuove, si fa prossimo.

Tutti termini di una carica infinita, bellissima, che grondano umanità. Non c’è umanità possibile senza compassione, il meno sentimentale dei sentimenti, senza prossimità, il meno zuccheroso, il più concreto. Il samaritano si avvicina. Non è spontaneo fermarsi, i briganti possono essere ancora nei dintorni. Avvicinarsi non è un istinto, è una conquista; la fraternità non è un dato ma un compito.

I primi tre gesti concreti: vedere, fermarsi, toccare, tracciano i primi tre passi della risposta a “chi è il mio prossimo?”.

Vedere e lasciarsi ferire dalle ferite dell’altro. Il mondo è un immenso pianto, e Dio naviga in questo fiume di lacrime, invisibili però a chi ha perduto gli occhi del cuore, come il sacerdote e il levita.

Fermarsi addosso alla vita che geme e si sta perdendo nella polvere della strada. Io ho fatto molto per questo mondo ogni volta che semplicemente sospendo la mia corsa per dire «eccomi, sono qui».

Toccare: il samaritano versa olio e vino, fascia le ferite dell’uomo, lo solleva, lo carica, lo porta. Toccare l’altro è parlargli silenziosamente con il proprio corpo, con la mano: «Non ho paura e non sono nemico». Toccare l’altro è la massima vicinanza, dirgli: «Sono qui per te»; accettare ciò che lui è, così com’è; toccare l’altro è un atto di riverenza, di riconoscimento, di venerazione per la bontà dell’intera sua persona.

Il racconto di Luca poi si muove rapido, mettendo in fila dieci verbi per descrivere l’amore fattivo: vide, ebbe compassione, si avvicinò, versò, fasciò, caricò, portò, si prese cura, pagò… fino al decimo verbo: al mio ritorno salderò

Questo è il nuovo decalogo, perché l’uomo sia promosso a uomo, perché la terra sia abitata da “prossimi” e non da briganti o nemici.

Al centro del messaggio di Gesù una parabola; al centro della parabola un uomo; un Crocifisso e quel verbo: Tu ameraiFa così, e troverai la vita.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 27

2022 – Echi di Vita N°27 – L’ANNUNCIO, CONTAGIO BUONO

Partono senza pane, né sacca, né denaro, senza nulla di superfluo, anzi senza nemmeno le cose più utili.

Solo un bastone cui appoggiare la stanchezza e un amico a sorreggere il cuore. Senza cose. Semplicemente uomini.

Perché l’incisività del messaggio non sta nello spiegamento di forza o di mezzi, ma nel bruciore del cuore dei discepoli, sta in quella forza che ti fa partire, e che ha nome: Dio.

La forza del Vangelo, e del cristianesimo, non sta nell’organizzazione, nei mass-media, nel denaro, nel numero. Ancora oggi passa di cuore in cuore, per un contagio buono.

Partono senza cose, perché risalti il primato dell’amore.

L’abbondanza di mezzi forse ha spento la creatività nelle chiese. Il viaggio dei discepoli è come una discesa verso l’uomo essenziale, verso quella radice pura che è prima del denaro, del pane, dei ruoli. Anche per questo saranno perseguitati, perché capovolgono tutta una gerarchia di valori.

 

Gesù affida ai discepoli una missione che concentra attorno a tre nuclei:

Dove entrate dite: pace a questa casa;

guarite i malati;

dite loro: è vicino a voi il Regno di Dio.

I tre nuclei della missione: seminare pace, prendersi cura, confermare che Dio è vicino.

 

Portano pace. E la portano a due a due, perché non si vive da soli, la pace.

La pace è relazione. Comporta almeno un altro, comporta due in pace, in attesa dei molti che siano in pace, dei tutti che siano in pace.

La pace non è semplicemente la fine delle guerre: Shalom è pienezza di tutto ciò che desideri dalla vita.

 

Guariscono i malati. La guarigione comincia dentro, quando qualcuno si avvicina, ti tocca, condivide un po’ di tempo e un po’ di cuore con te. Esistono malattie inguaribili, ma nessuna incurabile, nessuna di cui non ci si possa prendere cura.

Poi l’annuncio: è vicino, si è avvicinato, è qui il Regno di Dio. Il Regno è il mondo come Dio lo sogna. Dove la vita è guarita, dove la pace è fiorita. Dite loro: Dio è vicino, più vicino a te di te stesso; è qui, come intenzione di bene, come guaritore della vita.

E poi la casa. Quante volte è nominata la casa in questo brano! La casa, il luogo più vero, dove la vita può essere guarita. Lì la Parola è conforto, forza, luce; lì scende come pane e come sale, sta come roccia la Parola di Dio, a sostenere la casa.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2022 N 26

2022 – Echi di Vita N°26 – GUARDARE AVANTI PER VIVERE IN PIENEZZA…

Vuoi che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? La reazione di Giacomo e Giovanni al rifiuto dei Samaritani segue la logica comune: farla pagare, occhio per occhio.

Gesù si voltò, li rimproverò e si avviò verso un altro villaggio. Nella concisione di queste parole si staglia la grandezza di Gesù. Che difende chi non la pensa come lui, che capovolge la logica della storia, quella che dice: i nemici si combattono e si eliminano. Gesù invece intende eliminare il concetto stesso di nemico.

E si avviò verso un altro villaggio.

Il Signore inventore di strade: c’è sempre un nuovo villaggio con altri malati da guarire, altri cuori da fasciare; c’è sempre un’altra casa dove annunciare pace.

Non ha bisogno di mezzi forti o di segni prodigiosi, non cova risentimenti. E il Vangelo diventa viaggio, via da percorrere, spazio aperto. E invita il nostro cristianesimo a diventare così, a continui passaggi, a esodi, a percorsi.

Come accade anche ai tre nuovi discepoli che entrano in scena nella seconda parte del Vangelo. Ad essi, che ci rappresentano tutti, dice: Le volpi hanno tane, gli uccelli nidi, ma io non ho dove posare il capo.

Eppure non era esattamente così. Gesù aveva cento case di amici e amiche felici di accoglierlo a condividere pane e sogni.

Con la metafora delle volpi e degli uccelli Gesù traccia il ritratto della sua esistenza minacciata dal potere religioso e politico, sottoposta a rischio, senza sicurezza. Chi vuole vivere tranquillo e in pace nel suo nido non potrà essere suo discepolo.

Noi siamo abituati a sentire la fede come conforto e sostegno, pane buono che nutre, e gioia. Ma questo Vangelo ci mostra che la fede è anche altro: un progetto che non assicura una esistenza tranquilla, ma offre la gioiosa fa­tica di aprire strade nuove, il rischio di essere rifiutati e perfino perseguitati. Perché si oppone e smonta il presente, quando le sue logiche sanno di superficialità, di violenza, di inganno, per seminarvi il futuro.

Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Una frase durissima che non contesta gli affetti umani, ma si chiarisce con ciò che segue: Tu va e annunzia il Regno di Dio. Tu fa cose nuove.

Se ti fermi all’esistente, al già visto, al già pensato, non vivi in pienezza.

Noi abbiamo bisogno di freschezza e il Signore ha bisogno di gente viva. Di gente che, come chi ha posto mano all’aratro, non guardi indietro a sbagli, incoerenze, fallimenti, ma avanti, ai grandi campi della vita, che gli appartengono, a un Dio che viene dall’avvenire.

don Alfredo Di Stefano

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