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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 52

2020 – Echi di Vita N°52 – FIGLI CHE SCONVOLGONO I DISEGNI DEI PADRI

Portarono il bambino a Gerusalemme, per offrirlo al Signore. Il figlio è loro, eppure non è loro. Il figlio è dato, ma subito è offerto ad un altro sogno, ad un’altra strada. I genitori intrecciano così il destino di una famiglia e il destino del mondo.

I figli non sono nostri, appartengono a Dio, al cosmo, alla storia e all’umanità, ad una loro vocazione che noi non conosciamo. Devono realizzare non i nostri desideri, ma il desiderio di Dio.

Questa è la santità della famiglia. Se invece si chiude, vota i propri figli all’insignificanza e se stessa a un ben povero respiro.

Nel tempio incontrano due anziani straordinari, carichi d’anni, ma vivi dentro; non chiusi custodi di ricordi, ma profeti di futuro, aperti agli altri: Simeone guarda oltre, Anna parla agli altri. Simboli grandi di una vecchiaia aperta, sapiente e viva, che vede ciò che altri non vedono ancora.

Simeone dice tre parole immense a Maria, per spiegarle chi è suo Figlio: egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti, segno di contraddizione.

Egli è qui, adesso, in mezzo a noi, rovina, risurrezione, contraddizione.

Potremmo con la nostra preghiera dire così: sii per me rovina e risurrezione, Signore. Non lasciarmi mai nell’indifferenza, nella falsa pace, Cristo mia dolce rovina, che rovini la vita insufficiente, la vita morente, il mio mondo di maschere e bugie, che rovini la vita illusa. Contraddicimi, Signore, contraddici i miei pensieri con i tuoi pensieri, e questa amata mediocrità. Contraddici l’immagine incompleta o falsa che ho di te e questa guerra del cuore.

Sii mia risurrezione, quando credo che per me sia finita, quando ho il vuoto dentro e il buio davanti agli occhi. Sii risurrezione, vita che si dirama in ogni fibra dell’anima, dopo il fallimento facile, dopo una fedeltà mancata, dopo un’umiliazione bruciante. E poi risorgi con le cose che amavo e credevo finite.

Rovina, risurrezione, contraddizione. Tre parole che danno respiro alla vita. Contraddizione nel cuore della logica umana, rovina di idoli e illusioni, risurrezione di tutti i germi vitali e amorosi ai quali non riusciamo a dare respiro e terreno.

Anche a te una spada, Maria: Simeone lega Maria non solo alla croce del figlio, ma a tutta la messe di lacrime e di contraddizioni del Vangelo e dell’esistenza.

Anche a te, Maria. Non sei esente. La fede non produce l’anestesia del vivere. La fede e la santità non sono, per lei come per noi, un’assicurazione contro la sofferenza o i lutti o le disgrazie.

Anche a te, una spada. Il dolore ti legherà a tanti, a tutti i trafitti da spada, perché il dolore non vuole spiegazioni ma condivisione.

E se la spada sarà contraddizione alla vita, e sembrerà rovina, verrà nel terzo giorno la terza parola di Simeone: risurrezione.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 51

2020 – Echi di Vita N°51 – IL SENSO DI UN “SI” CHE CAMBIA IL MONDO

Maria di Nazareth entra nella storia mentre è in ascolto di un angelo, e traccia il primo passo per chi vuole entrare in un rapporto vero con le creature, uomini o angeli: l’arte dell’ascolto. Ci mostra come fare spazio nella nostra vita all’ingresso della luce. Fa spazio alla luce chi ha saputo creare un’oasi di ascolto. È necessario molto silenzio per ascoltare la voce di Dio.

A quelle parole Maria rimase turbata. Un attimo di smarrimento ed è un attimo che, nella nostra vita, può durare anni. E se pure hai detto “sì” una volta, non sei mai al riparo dallo smarrimento. Ma: non temere, Maria. Dio entra nella vita, che è fatta anche di turbamenti, di emozioni confuse e porta nuove stelle polari. Entra nella vita, anche se è inadeguata. O forse proprio per questo! Non temere la tua debolezza, gli uomini non finiscono mai di essere pronti. Ma Dio salva.

Come è possibile? Non conosco uomo. Mentre Zaccaria domandava all’angelo un segno, Maria domanda il senso. Porre domande è stare davanti al Signore con tutta la dignità di uomo: accetto il mistero, ma uso anche tutta la mia intelligenza. Dico quali sono le mie strade e poi accetto strade al di sopra di me. Ma avverto il pericolo di far dire a Dio ciò che Dio non dice, e interrogo e cerco il senso.

Infine appare lo stile di Dio: ti coprirà con la sua ombra. La potenza si fa ombra. L’Altissimo si vela di carne, quasi si nasconde, ombra su di una ragazza, fremito nel suo grembo. Non lo troverai negli abbagli delle visioni, nello splendore del tempio, ma nella vita, che è un’anfora di ombre. Nel buio di un grembo sta la luce della vita.

Solo la madre sapeva che era figlio di un annuncio del seme che sta nella voce di un angelo. Per entrare e dimorare nella vita, Dio si veste sempre di povertà, degli umili panni del servo.

Non si impone, va cercato. E sarà accolto e generato solo da chi sa vivere in se stesso l’impegno di essere servo, come lui: eccomi sono la serva del Signore. La vicinanza di Dio crea servizio. In tutta la Bibbia, in tutta la storia. Inscindibilmente, servizio a Dio e all’uomo.

Oggi ancora l’angelo ripete per noi le tre parole essenziali: non temere, verrà il Signore e ti riempirà la vita. Solo le donne, le madri, conoscono l’attesa, essa è iscritta fisicamente nel loro corpo. Si attende non per una mancanza, ma per una pienezza, non per una assenza da colmare, ma per una sovrabbondanza di vita che già urge.

Si attende per generare, il vento dello Spirito gonfia la vita.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 50

2020 – Echi di Vita N°50 – NOI, VOCI CHE RENDONO TESTIMONIANZA ALLA LUCE

Giovanni non era la luce. Ma venne per rendere testimonianza alla luce.

Giovanni, testimone e martire della luce, ci fa strada nell’Avvento perché ci indica come ci si rapporta con Gesù. E ci mostra che, pur con un cuore d’ombra, siamo in grado di ricevere e testimoniare luce. Che in principio non è posta l’analisi spietata o intelligente del mondo e di tutto il suo peccato. Ma che la storia vera inizia quando l’uomo, nelle sue albe così ricche di tenebra, sa fissare il cuore sulla linea mattinale della luce che sta sorgendo, minoritaria eppur vincente. Ciò che conta è che io renda testimonianza alla luce: non ai comandi, non ai castighi, ma alla luce di un Dio liberatore, del Dio di Isaia che fascia le piaghe dei cuori feriti, che va in cerca di tutti i prigionieri per rimetterli nel sole. Rendere testimonianza a Lui che, come dice Paolo, ha fatto risplendere la vita, ha dato splendore e bellezza all’esistenza.

Che cosa dici di te stesso? Io sono voce. Solo Dio è la parola; io sono voce, trasparenza di qualcosa che viene da oltre, eco di parole che vengono da prima di me, che saranno dopo di me. E però è voce che grida, testimone di parole finalmente accese. Dio è il cuore, io sono voce che dice questo cuore alla mia porzione di mondo. E quando un sacerdote parla, andiamo oltre le parole, lui è solo una eco.

La forza non risiede nel gesto del seminatore, spesso maldestro, ma è il lucente segreto racchiuso nel seme che egli semina.

Passiamo oltre. Lo insegna Giovanni: Egli deve crescere e io diminuire, è regola della vita spirituale che vale per tutti i credenti, anche per i profeti, soprattutto per i sacerdoti, perfino per la Chiesa.

Giovanni ci fa strada nell’Avvento perché ci rivela la nostra identità. Come lui anch’io sono grido, cioè appello, bisogno, fame.

Quante volte la vita dell’uomo è sigillata tra due grida: il grido vittorioso del bambino che nasce e il grido crocifisso di ogni morente e del morente in eterno, il Cristo, che urla la sua sete, la sua e la nostra paura agli uomini e al cielo.

Dire: io sono voce, equivale a dire: io sono persona. Persona letteralmente significa suono che cresce, voce che sale. La nostra identità ci rimanda oltre noi, ad un Altro, ad una Parola che ci attraversa e ci fa vivi. Io sono persona quando sono profeta, e rilancio la parola e la luce, gridando nel deserto della città o sussurrando al cuore. Ogni vivente è voce di Dio, quando cerca di vivere come Cristo, martire della sua luce. Ogni uomo è un profeta.

Noi tutti cerchiamo una voce che dica, nel deserto dei rumori, chi siamo veramente, e solo Dio ha la risposta.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 49

2020 – Echi di Vita N°49 – RIPARTIRE DALLA BUONA NOTIZIA DI DIO

Inizio del vangelo di Gesù Cristo. Inizio della buona notizia.

A partire da che cosa ricominciare a vivere, a progettare? Da una buona notizia.

Non ricominciare mai da pessimismo, non dai problemi, neppure dall’illusorio primato della realtà che sembra dominare nel mondo. Ricominciare da una cattiva notizia è solo intelligenza apparente, priva di sapienza di vangelo.

Ricominciare dalle buone notizie di Dio: e subito, fin dalle prime parole, Marco mostra come fare per accorgersene e per accoglierle. Tutta l’esperienza dell’uomo spirituale è riassunta in questi pochi versetti.

Il primo passo porta a Isaia e Giovanni e potrebbe definirsi così: cercare profeti. Come Isaia, profeta è uno che «apre strade» anche nel deserto, tracce di speranza là dove sembra impossibile; che non si mimetizza né si lascia omologare dal pensiero dominante. I profeti sono sempre creatori di strade e liberi come nessuno: ascoltarli è diventare come loro.

La seconda caratteristica di ogni profeta è di essere in attesa, insoddisfatto di ciò che ha, cuore affaticato dal richiamo di cose lontane. Isaia e Giovanni annunciano un Altro (viene uno più grande) hanno il loro centro altrove: in un desiderio, un orizzonte, una persona. Annunciano che la vita non è statica ma bisogna uscire da sé, vivere incamminati. Come un profeta, ogni uomo spirituale è costantemente in viaggio, alla ricerca di ciò che ancora non ha, la sua casa è oltre: allora è pronto per nascite ed inizi.

In terzo luogo, profeta è colui che riorienta la vita: Giovanni predicava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.

Il peccato è l’esperienza di chi non riesce a raggiungere la propria meta ed ha perso la strada. Il perdono è Dio che indica di nuovo il punto di arrivo e fa ripartire, carovana che si rimette in viaggio all’alba, vento per la nave che salpa.

Perdono è un nuovo inizio, un nuovo mare, un nuovo giorno. Il peccato perdona­to non esiste più, annullato, cancellato, azzerato.

Ed è il bene che revoca il male. Il bene vale di più: buona notizia di Gesù Cristo.

Il Vangelo è Dio che viene portando amore, e tutto ciò che è non-amore è non-Dio. Dio viene e sa parlare al cuore, e lo insegna ai suoi profeti: parlate al cuore di Gerusalemme.

È «il più forte», dice Giovanni, proprio perché è l’unico che parla al cuore, teneramente e possentemente toccando il centro dell’umano.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 48

2020 – Echi di Vita N°48 – AVVENTO, L’ATTESA CHE APRE ALL’AMORE

Avvento è il tempo dell’attesa.

Il profeta Isaia apre le pagine di questi giorni come un maestro dell’attesa e del desiderio.

Si attende non per una mancanza, ma per una pienezza, una sovrabbondanza. Come fa ogni donna incinta, quando l’attesa non è assenza, ma evento di completezza e di totalità, esperienza amorosa dell’essere uno e dell’essere due al tempo stesso.

Il mio avvento è come di donna «in attesa», quando la segreta esultanza del corpo e del cuore deriva da qualcosa che urge e gonfia come un vento misterioso la vela della vita. Attendere con tutto me stesso significa desiderare, attendere è amare.

Così io attendo un Signore che già vive e ama in me; ogni persona attende un uomo e un Dio che già sono dentro di lei, ma che hanno sempre da nascere. L’umanità intera porta il Verbo, è gravida di un progetto, custodisce il sogno di tutta la potenzialità dell’umano, l’attesa di mille realizzazioni possibili, porta in sé l’uomo che verrà.

Attendere, allora, equivale a vivere. Ma a vivere d’altri. Un doppio rischio incombe su di noi: il «cuore indurito», secondo Isaia (perché lasci che si indurisca il nostro cuore?), e quella che Gesù chiama «una vita addormentata» (vegliate, vigilate, state attenti… che non vi trovi addormentati).

Qualcuno ha definito la durezza del cuore e la vita addormentata come «il furto dell’ anima» nel nostro contesto culturale.

Il furto della profondità, dell’attenzione, il vivere senza mistero, il furto del cuore tenero: è un tempo senza pietà, senza condivisione. Così è questo tempo di pandemia?

No, si tratta di vegliare su tutti gli “avventi” del mondo: sulle cose che nascono, sulla notte che finisce, sui primi passi della luce, custodendo germogli, e la loro musica interiore.

Vivere attenti è il nome dell’avvento.

Vivere attese e attenzioni, due parole che derivano dalla medesima radice: tendere verso qualcosa, il muoversi del corpo e del cuore verso Qualcuno che già muove verso di te.

Vivere attenti: agli altri, ai loro silenzi, alle loro lacrime e alla profezia; in ascolto dei minimi movimenti che avvengono nella porzione di realtà in cui vivo, e dei grandi sommovimenti della storia.

Attenti alla Vita che urge, tante volte tradita, ma ogni volta rinata.

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 47

2020 – Echi di Vita N°47 – IL PECCATO PIU’ GRANDE? SMARRIRE LO SGUARDO DI DIO

Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere… Dal Vangelo emerge un fatto straordinario: lo sguardo di Gesù si posa sempre, in primo luogo, sul bisogno dell’uomo, sulla sua povertà e fragilità.

E dopo la povertà, il suo sguardo va alla ricerca del bene che circola nelle vite: mi hai dato pane, acqua, un sorso di vita, e non già, come ci saremmo aspettati, alla ricerca dei peccati e degli errori dell’uomo. Ed elenca sei opere buone che rispondono alla domanda su cui si regge tutta la Bibbia: che cosa hai fatto di tuo fratello?

Quelli che Gesù evidenzia non sono grandi gesti, ma gesti potenti, perché fanno vivere, perché nascono da chi ha lo stesso sguardo di Dio. Grandioso capovolgimento di prospettive: Dio non guarda il peccato commesso, ma il bene fatto. Sulle bilance di Dio il bene pesa di più. Bellezza della fede: la luce è più forte del buio; una spiga di grano vale più della zizzania del cuore.

Ed ecco il giudizio: che cosa rimane quando non rimane più niente? Rimane l’amore, dato e ricevuto.

In questa scena potente e drammatica, che poi è lo svelamento della verità ultima del vivere, Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare fino a identificarsi con loro: quello che avete fatto a uno dei miei fratelli, l’avete fatto a me!

Gesù sta pronunciando una grandiosa dichiarazione d’amore per l’uomo: io vi amo così tanto, che se siete malati è la mia carne che soffre, se avete fame sono io che ne patisco i morsi, e se vi offrono aiuto, sento io tutte le mie fibre gioire e rivivere.

Gli uomini e le donne sono la carne di Cristo. Finché ce ne sarà uno solo ancora sofferente, lui sarà sofferente.

Nella seconda parte del racconto ci sono quelli mandati via, perché condannati. Che male hanno commesso?

Il loro peccato è non aver fatto niente di bene. Non sono stati cattivi o violenti, non hanno aggiunto male su male, non hanno odiato: semplicemente non hanno fatto nulla per i piccoli della terra, indifferenti.

Non basta essere buoni solo interiormente e dire: io non faccio nulla di male. Perché si uccide anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra.

Non impegnarsi per il bene comune, per chi ha fame o patisce ingiustizia, stare a guardare, è già farsi complici del male, della corruzione, del peccato sociale, delle mafie.

Il contrario esatto dell’amore non è allora l’odio, ma l’indifferenza, che riduce al nulla il fratello: non lo vedi, non esiste, per te è un morto che cammina.

Il male più grande è aver smarrito lo sguardo, l’attenzione, il cuore di Dio fra noi.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 46

2020 – Echi di Vita N°46 – CHIAMATI ALLA PIENEZZA E ALLA CREATIVITA’

Questa parabola è la sintesi delle due forze opposte di cui si nutre ogni vita: l’emozione e la disciplina, il talento e il lavoro. In quale servo mi riconosco?

 

Nei primi due, quelli che lavorano il loro capitale, il loro splendido dono: e vedono il mondo, gli uomini, il tutto come un dono iniziale che progredisce, un giardino incompiuto che deve crescere e fiorire? Oppure mi riconosco nel terzo servo, quello che non fa progredire niente, uomo inutile al futuro?

 

Il cuore segreto delle cose è un appello a crescere; una spirale d’amore crescente è l’energia. Come per il campo arato che non può restituire in estate solo il seme che ha ricevuto, così per noi, tra semina e mietitura, il nostro ruolo è la moltiplicazione. Pena il non senso della vita.

Il terzo servo ha un cuore malato, senza desiderio. È un esule della creazione, esiliato e inutile, non a immagine del Dio creatore, che sparge a piene mani i suoi germi di luce e di vita, con magnifica esuberanza.

 

Il terzo servo non crea più: solo conserva. Ma il mondo e il cuore non ci sono dati come cose da conservare, come fragili miracoli che possono rompersi fra le mani, ma devono ascendere gloriosamente verso la pienezza.

Non siamo dei conservatori di cose preziose e minacciate, ma dei creatori di opere nuove, servitori della forza lievitante nascosta dentro tutto ciò che vive. Solo così la nostra vita non sarà inutile al divenire comune.

Così è per i primi due servi: nella loro mente non c’è un rendiconto che incombe e turba i sonni, ma una vita che chiede di crescere.

Dio è la primavera del cosmo: a noi il compito di creare l’estate dei frutti. Il mondo è un giardino incompiuto e incamminato.

La parabola è il poema della creatività, senza voli retorici: nessuno dei servi crede di poter salvare il mondo. Tutto invece odora di casa, di viti, di olivi, di lana, di lavoro e di attesa.

Il padrone tuttavia non vuole per sé i talenti, essi restano ai servi fedeli.

Anzi li moltiplica: questa spirale d’amore crescente è il nome segreto di tutto ciò che vive.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 45

2020 – Echi di Vita N°45 – DIECI LAMPADE PER VARCARE NOTTI E SOLITUDINI

Dieci ragazze escono nella notte, armate solo di un po’ di luce; escono per andare incontro. Come la Sapienza che va incontro a chi la cerca; come noi che andremo incontro al Signore, dieci ragazze escono incontro allo Sposo: il Regno dei cieli è simile ad un incontro. Il Regno appartiene a chi sa uscire, varcare notti e solitudini, vivere d’incontri.

Ecco lo sposo! Andategli incontro!

 

In queste parole trovo l’immagine più bella dell’esistenza umana, rappresentata come un uscire e un andare incontro.

Uscire da spazi chiusi e, in fondo alla notte, lo splendore di un abbraccio. Dio come un abbraccio. L’esistenza come un uscire incontro. Fin da quando usciamo dal grembo della madre e andiamo incontro alla vita, fino al giorno in cui usciamo dalla vita per incontrare la nostra vita, nascosta in Dio.

Il secondo elemento importante della parabola è la luce: il Regno di Dio è simile a dieci ragazze armate solo di un po’ di luce, di quasi niente, del coraggio sufficiente per il primo passo.

Il regno di Dio è simile a dieci piccole luci, anche se intorno è notte. Simile a qualche seme nella terra, a una manciata di stelle nel cielo, a un pizzico di lievito nella pasta.

Ma sorge un problema: cinque ragazze sono sagge, hanno portato dell’olio, saranno custodi della luce; cinque sono stolte, hanno un vaso vuoto, una vita vuota, presto spenta.

Gesù non spiega che cosa sia l’olio delle lampade. Sappiamo però che ha a che fare con la luce e col fuoco: in fondo, è saper bruciare per qualcosa o per Qualcuno.

L’alternativa centrale è tra vivere accesi o vivere spenti.

Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono… la risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi. Il senso profondo di queste parole è un richiamo alla responsabilità: un altro non può amare al posto mio, essere buono o onesto al posto mio, desiderare Dio per me.

Se io non sono responsabile di me stesso, chi lo sarà per me? Parabola esigente e consolante. Tutte si addormentano, sagge e stolte, ed è la nostra storia: tutti ci siamo stancati, forse abbiamo mollato.

Ma nel momento più nero, qualcosa, una voce, una parola una persona, ci ha risvegliato. La nostra vera forza sta nella certezza che la voce di Dio verrà.

È in quella voce, che non mancherà; che verrà a ridestarmi da tutti gli sconforti; che mi rialza dicendo che di me non è stanca; che disegna un mondo colmo di incontri e di luci.

Dio non ci coglie in flagrante, è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto, per mille strade.

A me basterà avere un cuore che ascolta, ravvivarlo come una lampada, e uscire incontro a un abbraccio.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 44

2020 – Echi di Vita N°44 – BEATITUDINI: DIO REGALA VITA A CHI PRODUCE AMORE

Le Beatitudini, che Gandhi chiamava «le parole più alte che l’umanità abbia ascoltato», fanno da collante tra le due feste dei santi e dei defunti.

La liturgia propone il Vangelo delle Beatitudini come luce che non raggiunge solo i migliori tra noi, i santi, ma si posa su tutti i fratelli che sono andati avanti. Una luce in cui siamo dentro tutti: poveri, sognatori, ingenui, piangenti feriti, e i ricomincianti.

Quando le ascoltiamo in chiesa ci sembrano possibili e perfino belle, poi usciamo e ci accorgiamo che per abitare la terra, questo mondo aggressivo e duro, ci siamo scelti il manifesto più difficile, stravolgente e contromano che si possa pensare. Ma se accogli le Beatitudini la loro logica ti cambia il cuore. E possono cambiare il mondo. Ti cambiano sulla misura di Dio.

Dio non è imparziale, ha un debole per i deboli, incomincia dagli ultimi, dalle periferie della Storia, per cambiare il mondo, perché non avanzi per le vittorie dei più forti, ma per semine di giustizia e per raccolti di pace.

Chi è custode di speranza per il cammino della terra? Gli uomini più ricchi, i personaggi di successo o non invece gli affamati di giustizia per sé e per gli altri? I lottatori che hanno passione, ma senza violenza? Chi regala sogni al cuore? Chi è più armato, più forte e scaltro? o non invece il tessitore segreto della pace, il non violento, chi ha gli occhi limpidi e il cuore bambino e senza inganno?

Le Beatitudini sono il cuore del Vangelo e al cuore del vangelo c’è un Dio che si prende cura della gioia dell’uomo.

Non un elenco di ordini o precetti, ma la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno, il Padre si fa carico della sua felicità. Non solo, ma sono beati anche quelli che non hanno compiuto azioni speciali, i poveri, i poveri senza aggettivi, tutti quelli che l’ingiustizia del mondo condanna alla sofferenza.

Beati voi poveri, perché vostro è il Regno, già adesso, non nell’altro mondo! Beati, perché c’è più Dio in voi. E quindi più speranza, ed è solo la speranza che crea storia.

Beati quelli che piangono… e non vuol dire: felici quando state male! Ma: In piedi voi che piangete, coraggio, in cammino, Dio sta dalla vostra parte e cammina con voi, forza della vostra forza!

Beati i misericordiosi… Loro ci mostrano che i giorni sconfinano nell’eterno, loro che troveranno per sé ciò che hanno regalato alla vita d’altri: troveranno misericordia, bagaglio di terra per il viaggio di cielo, equipaggiamento per il lungo esodo verso il cuore di Dio.

A ricordarci che la nostra morte è la parte della vita che dà sull’altrove.  Quell’altrove che sconfina in Dio.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 43

2020 – Echi di Vita N°43 – UN DIO CAPACE DI MOLTIPLICARE IL CUORE

Qual è il più grande comandamento?

Amerai con tutto… con tutto… con tuttoPer tre volte Gesù ripete l’appello alla totalità, all’impossibile. Perché l’uomo ama, ma solo Dio ama con tutto il cuore.

Ripete due parole antiche e note, ma aggiunge: la seconda è simile alla prima. Amerai il prossimo è simile ad amerai Dio. Il prossimo è simile a Dio. Questo è lo scandalo, la grande rivoluzione portata dal vangelo. Ama Dio con tutto il cuore. Eppure, resta ancora del cuore per amare il marito, la moglie, il figlio, l’amico, il prossimo e, per i discepoli veri, perfino il nemico.

Dio non ruba il cuore, lo moltiplica. E questo perché lo ha fatto più grande di tutte le cose create messe insieme. Lo scriba domanda un comandamento, Gesù risponde con due inviti, ma dentro raccoglie tre oggetti d’amore e proietta il cuore in tre direzioni: ama il tuo Signore, ama il tuo prossimo, come ami te stesso. Terzo comandamento sempre dimenticato. Perché se non ami te stesso, non sarai capace di amare nessuno, saprai solo prendere e possedere, fuggire o violare, senza gioia né gratitudine.

Nostro orizzonte è questo cuore a più voci.

Ama Dio con tutto il cuore non significa ama lui solamente, ma amalo senza mezze misure, senza mediocrità.

Allo stesso modo amerai con tutto il cuore il tuo amico, il tuo familiare, lo amerai senza calcolo e senza inganno. Abbiamo bisogno, tutti, di molto amore per vivere bene.

Il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza.

L’odio è spesso una variante impazzita dell’amore. L’indifferenza invece riduce a nulla l’altro: non lo vedi neppure, non esiste più. E nessuno ha il diritto di ridurre a nulla un uomo.

L’indifferenza avvelena la terra, ruba vita agli altri, uccide e lascia morire; è la linfa segreta del male.

Amerai: non sarai mai indifferente!

 

Non credere che basti amare Dio. Lo facevano anche i farisei nel tempio di Gerusalemme.

Non puoi amare Dio e disprezzare i fratelli. Il prossimo ha corpo, voce, cuore simili a Dio.

 

Non credere che basti amare il prossimo, dicendo: io mi impegno per i poveri, per la pace, la giustizia: questo è il mio modo di pregare. Dio è lì, nei piccoli, ma è anche l’alfa e l’omega, eternità della vita, l’unico che cambia il cuore, l’Altro che viene perché il mondo sia altro da quello che è.

 

Non separiamo i due comandamenti, ad essi siamo crocifissi, come alle due braccia della nostra croce, come alla nostra risurrezione.

don Alfredo Di Stefano

 

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