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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2019 N 40

2019 – Echi di Vita N°40 – DIO NELLE PIAGHE DI LAZZARO

Dio avrebbe contato a una a una tutte le briciole date a Lazzaro, e tutte le parole, con quello sguardo così amorevole e attento che scruta perfino gli abiti del povero e del ricco: vede il ricco vestito di porpora, guarda l’uomo vestito di piaghe. E guarda come mangia e dove dorme, e guarda i cani sulla porta, e tutto porterà nell’eterno.

È a questo Dio fedele e memore che si possono affidare tutti i poveri della terra. E tutti i ricchi. Il ricco è senza nome, perché spesso il denaro diventa come la seconda identità di una persona, domina la sua coscienza, detta le leggi, ispira i pensieri. Il povero invece ha un nome, anzi ha il nome dell’amico di Gesù, Lazzaro.

Luca non usa mai nomi propri nelle parabole, solo qui fa un’eccezione: quel nome evoca Betania e la casa dell’amicizia, e ci assicura che se quel mendicante piagato porta il nome di Lazzaro, ogni povero deve avere, per Lui, per me, un nome d’amico; che “amico” è anche il nome di Dio per i poveri.

In che cosa consiste il peccato del ricco? Nella cultura del piacere? Nell’amore per il lusso? Negli eccessi della gola? No. Il suo peccato è non aver dato: non un gesto, non una briciola, non una parola, al mendicante, lasciato solo con i cani.

Il suo peccato è la pigra e soddisfatta indifferenza assoluta. Come se Lazzaro non esistesse.

Il ricco non fa del male al povero. Solo, non fa nulla per lui. E nessuno ha il diritto di non fare nulla, di ridurre a nulla l’uomo, un’ombra fra i cani.

Morì anche il ricco e fu sepolto nell’inferno. L’eternità era già iniziata, l’inferno è solo il prolungamento di questo abisso esistenziale di solitudini gelide. Il peccato dell’uomo ricco è di essere già nel suo cuore, durante la sua vita, un separato. Da tutti gli innumerevoli Lazzari della terra. E l’eternità non farà che ratificare e rendere infinita questa separazione.  Chi non ama rimane nella morte, per sempre.

 

Padre Abramo, mandalo dai miei cinque fratelli, perché li ammonisca. Ma non serve che un morto ritorni: non la morte ammaestra, ma la vita stessa. Chi non si è posto il problema davanti al mistero grande che è la vita, non se lo porrà davanti al mistero ben più piccolo che è la morte. E invoca: una goccia d’acqua per me, una goccia di miracolo per i miei fratelli. Ma la terra è già piena di miracoli e di profeti: hanno i profeti, ascoltino quelli!

Non c’è miracolo che valga il brusìo dei poveri. Dio abita nel povero, dice Luca; anzi nelle piaghe del povero. Dalle piaghe alla luce, ecco l’infinito percorso della storia.

don Alfredo Di Stefano

 

 

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2019 N 39

2019 – Echi di Vita N°39 – QUANTA VITA AVREMO LASCIATO DIETRO DI NOI?

La sorpresa: il padrone loda chi l’ha derubato. Il resto è storia di tutti i giorni e di tutti i luoghi, di furbi disonesti è pieno il mondo. Quanto devi al mio padrone? Cento? Prendi la ricevuta e scrivi cinquanta. La truffa continua, eppure sta accadendo qualcosa che cambia il colore del denaro, ne rovescia il significato: l’amministratore trasforma i beni materiali in strumento di amicizia, regala pane, olio – vita – ai debitori.

Il benessere di solito chiude le case, tira su muri, inserisce allarmi, sbarra porte; ora invece il dono le apre: mi accoglieranno in casa loro. E il padrone lo loda. Non per la disonestà, ma per il capovolgimento: il denaro messo a servizio dell’amicizia. Ci sono famiglie che riceveranno cinquanta inattesi barili d’olio, venti insperate misure di farina… e il padrone vede la loro gioia, vede porte che si spalancano, e ne è contento. È bello questo padrone, non un ricco ma un signore, per il quale le persone contano più dell’olio e del grano.

 

Gesù condensa la parabola in un detto finale: «Fatevi degli amici con la ricchezza», la più umana delle soluzioni, la più consolante.

Fatevi degli amici donando ciò che potete e più di ciò che potete, ciò che è giusto e perfino ciò che non lo è! Non c’è comandamento più umano. Affinché questi amici vi accolgano nella casa del cielo. Essi apriranno le braccia, non Dio. Come se il cielo fosse casa loro, come se fossero loro a detenere le chiavi del paradiso. Come se ogni cosa fatta sulla terra degli uomini avesse la sua prosecuzione nel cielo di Dio.

Perché io, amministratore poco onesto, che ho sprecato così tanti doni di Dio, dovrei essere accolto nella casa del cielo? Perché lo sguardo di Dio cerca in me non la zizzania ma la spiga di buon grano. Perché non guarderà a me, ma attorno a me: ai poveri aiutati, ai debitori perdonati, agli amici custoditi. Perché la domanda decisiva dell’ultimo giorno non sarà: vediamo quanto pulite sono le tue mani, o se la tua vita è stata senza macchie; ma sarà dettata da un altro cuore: hai lasciato dietro di te più vita di prima?

Mi piace tanto questo Signore al quale la felicità dei figli importa più della loro fedeltà; che accoglierà me, fedele solo nel poco e solo di tanto in tanto, proprio con le braccia degli amici, di coloro cui avrò dato un po’ di pane, un sorriso, una rosa.

Siate fedeli nel poco. Questa fedeltà nelle piccole cose è possibile a tutti, è l’insurrezione degli onesti, a partire da se stessi, dal mio lavoro, dai miei acquisti…

Chi vince davvero, qui nel gioco della vita e poi nel gioco dell’eternità? Chi ha creato relazioni buone e non ricchezze, chi ha fatto di tutto ciò che possedeva un sacramento di comunione.

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2019 N 38 - Copertina

2019 – Echi di Vita N°38 – LA BELLA NOTIZIA DEL SIGNORE CHE VA A CERCARE CHI SI PERDE

Un pastore che sfida il deserto, una donna di casa che non si dà pace per una moneta che non trova, un padre esperto in abbracci. Le tre parabole della misericordia sono il vangelo del vangelo.

Sale dal loro fondo un volto di Dio che è la più bella notizia che potevamo ricevere. C’era come un feeling misterioso tra Gesù e i peccatori, un cercarsi reciproco che scandalizzava scribi e sacerdoti. Gesù allora spiega questa amicizia con tre parabole tratte da storie di vita: una pecora perduta, una moneta perduta, un figlio che se ne va e si perde. Storie di perdita, che mettono in primo piano la pena di Dio quando perde e va in cerca, ma soprattutto la sua gioia quando trova.

Ecco allora la passione del pastore, quasi un inseguimento della sua pecora per steppe e pietraie. Se noi lo perdiamo, lui non ci perde mai. Non è la pecora smarrita a trovare il pastore, è trovata; non sta tornando all’ovile, se ne sta allontanando; il pastore non la punisce, è viva e tanto basta. E se la carica sulle spalle perché sia meno faticoso il ritorno. Immagine bellissima: Dio non guarda alla nostra colpa, ma alla nostra debolezza. Non traccia consuntivi, ma preventivi. Dio è amico della vita: Gesù guarisce ciechi zoppi lebbrosi non perché diventino bravi osservanti, tanto meglio se accadrà, ma perché tornino persone piene, felici, realizzate, uomini finalmente promossi a uomini.

La pena di un Dio donna-di-casa che ha perso una moneta, che accende la lampada e si mette a spazzare dappertutto e troverà il suo tesoro, lo scoverà sotto la polvere raccolta dagli angoli più oscuri della casa. Così anche noi, sotto lo sporco e i graffi della vita, sotto difetti e peccati, possiamo scovare sempre, in noi e in tutti, un frammento d’oro.

Un padre che non ha figli da perdere, e se ne perde uno solo la sua casa è vuota.

Che non punta il dito e non colpevolizza i figli spariti dalla sua vista, ma li fa sentire un piccolo grande tesoro di cui ha bisogno. E corre e gli getta le braccia al collo e non gli importa niente di tutte le scuse che ha preparato, perché alla fedeltà del figlio preferisce la sua felicità.

Tutte e tre le parabole terminano con lo stesso “crescendo“. L’ultima nota è una gioia, una contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra: vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti… Dio è in cerca di me.

   Se lo capisco, invece di fuggire correrò verso di lui.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2019 N 37 - Copertina

2019 – Echi di Vita N°37 – SI E’ DISCEPOLI DI GESU’ SOLTANTO SE SI E’ CAPACI DI AMARE

Gesù, sempre spiazzante nelle sue proposte, indica tre condizioni per seguirlo. Radicali.

La prima: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.

Gesù punta tutto sull’amore. Lo fa con parole che sembrano cozzare contro la bellezza e la forza dei nostri affetti, la prima felicità di questa vita. Ma il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non mi “ama di più“. Allora non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un “di più“. Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello. Gesù è la garanzia che i tuoi amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell’arte di amare.

 

La seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me.

Non banalizziamo la croce, non immiseriamola a semplice immagine delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della fatica o malattia da sopportare con pace. Nel Vangelo “croce” contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce.

La prima e la seconda condizione: amare di più e portare la croce, si illuminano a vicenda; portare la croce significa portare l’amore fino in fondo. Gesù non ama le cose lasciate a metà, perché generano tristezza: se devi costruire una torre siediti prima e calcola bene se ne hai i mezzi. Vuole da noi risposte libere e mature, ponderate e intelligenti.

 

Ed elenca la terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. La rinuncia che Gesù chiede non è un sacrificio, ma un atto di libertà: esci dall’ansia di possedere, dalla illusione che ti fa dire: io ho, accumulo, e quindi sono e valgo. Non lasciarti risucchiare dalle cose: la tua vita non dipende dai tuoi beni. Lascia giù le cose e prendi su di te la qualità dei sentimenti. Impara non ad avere di più, ma ad amare bene. Gesù non intende impossessarsi dell’uomo, ma liberarlo, regalandogli un’ala che lo sollevi verso più libertà, più amore, più consapevolezza.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2019 N 36 - Copertina

2019 – Echi di Vita N°36 – METTERSI ALL’ULTIMO POSTO: QUELLO DI DIO

Il banchetto è un vero protagonista del Vangelo di Luca.

Gesù era un rabbi che amava i banchetti, che li prendeva a immagine felice e collaudo del Regno: a tavola, con farisei o peccatori, amici o pubblicani, ha vissuto e trasmesso alcuni tra i suoi insegnamenti più belli.

Gesù, uomo armonioso e realizzato, non separava mai vita reale e vita spirituale, le leggi fondamentali sono sempre le stesse.

A noi invece, quello che facciamo in chiesa alla domenica o in una cena con gli amici sembrano mondi che non comunicano, parallele che non si incontrano.

Torniamo allora alla sorgente: per i profeti il culto autentico non è al tempio, ma nella vita; per Gesù tutto è sillaba della Parola di Dio: il pane e il fiore del campo, il passero e il bambino, un banchetto festoso e una preghiera nella notte. Sedendo a tavola, con Levi, Zaccheo, Simone il fariseo, i cinquemila sulla riva del lago, i dodici nell’ultima sera, faceva del pane condiviso lo specchio e la frontiera avanzata del suo programma messianico.

Per questo invitare Gesù a pranzo era correre un bel rischio, come hanno imparato a loro spese i farisei. Ogni volta che l’hanno fatto, Gesù gli ha messo sottosopra la cena, mandandoli in crisi, insieme con i loro ospiti.

Il paradosso dell’ultimo posto, quello del Dio “capovolto”, venuto non per essere servito, ma per servire. Il linguaggio dei gesti lo capiscono tutti, bambini e adulti, teologi e illetterati, perché parlano al cuore. E gesti così generano un capovolgimento della nostra scala di valori, del modo di abitare la terra.

Creano una vertigine: Quando offri una cena invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Riempiti la casa di quelli che nessuno accoglie, dona generosamente a quelli che non ti possono restituire niente.

La vertigine di una tavolata piena di ospiti male in arnese mi parla di un Dio che ama in perdita, ama senza condizioni, senza nulla calcolare, se non una offerta di sole in quelle vite al buio, una fessura che si apre su di un modo più umano di abitare la terra insieme.

E sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Che strano: poveri, storpi, ciechi, zoppi, sembrano quattro categorie di persone infelici, che possono solo contagiare tristezza; invece sarai beato, troverai la gioia, la trovi nel volto degli altri, la trovi ogni volta che fai le cose non per interesse, ma per generosità. Sarai beato: perché Dio regala gioia a chi produce amore.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2019 N 35 - Copertina

2019 – Echi di Vita N°35 – DIO NON SI MERITA, MA SI ACCOLGLIE

Sono pochi quelli che si salvano, o molti?

Gesù non risponde sul numero dei salvati ma sulle modalità.

Dice: la porta è stretta, ma non perché ami gli sforzi, le fatiche, i sacrifici.

Stretta perché è la misura del bambino: «Se non sarete come bambini, non entrerete!». Se la porta è piccola, per passare devo farmi piccolo anch’io.

I piccoli e i bambini passano senza fatica alcuna. Perché se ti centri sui tuoi meriti, la porta è strettissima, non passi; se ti centri sulla bontà del Signore, come un bambino che si fida delle mani del padre, la porta è larghissima.

L’insegnamento è chiaro: fatti piccolo, e la porta si farà grande.

Lascia giù tutti i tuoi bagagli, i portafogli gonfi, l’elenco dei meriti, la tua bravura, sgònfiati di presunzione, dal crederti buono e giusto, e dalla paura di Dio, del suo giudizio.

La porta è stretta ma aperta. In questo momento aperta.

Quello che Gesù offre non è solo rimandato per l’aldilà, ma è salvezza che inizia già ora. È un mondo più bello, più umano, dove ci sono costruttori di pace, uomini dal cuore puro, onesti sempre, e allora la vita di tutti è più bella, più piena, più gioiosa se vissuta secondo il vangelo. È aperta e sufficiente per tanti, tantissimi, infatti la grande sala è piena, vengono da oriente e da occidente e sono folla e entrano, non sono migliori di noi o più umili, non hanno più meriti di noi, non è questo. Hanno accolto Dio per mille vie diverse. Dio non si merita, si accoglie. Salvezza è accogliere Dio in me, perché cresca la mia parte divina, ed è così che io raggiungo pienezza. Più Dio equivale a più io.

La porta è stretta ma bella, infatti l’attraversano rumori di festa, una sala colma, una mensa imbandita e un turbinare di arrivi, di colori, culture, provenienze diverse, un mondo dove gli uomini sono finalmente diventati fratelli, senza divisioni.

Nel seguito della Parabola la porta da aperta si fa’ chiusa e una voce dura dice: «Voi, non so di dove siete». Sono come stranieri, eppure avevano seguito la legge, erano andati in chiesa… Tutti abbiamo sentito con dolore questa accusa: vanno in chiesa e fuori sono peggio degli altri… Può accadere, se vado in chiesa ma non accolgo Dio dentro. Dio che entra e mi trasforma, mi cambia pensieri, emozioni, parole, gesti. Mi dà i suoi occhi, e un pezzo del suo cuore. Il Dio della misericordia mi insegna gesti di misericordia, il Dio dell’accoglienza mi insegna gesti di accoglienza e di comunione.

E li cercherà in me nell’ultimo giorno. E, trovandoli, spalancherà la porta.

don Alfredo Di Stefano